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Madagascar: vittima emblematica del saccheggio capitalista

di Cristina Amoroso

Sempre più acceso il clima elettorale in Madagascar dal 25 ottobre, giorno del primo turno delle elezioni presidenziali 2013, quando nessun dei 33 candidati è riuscito ad ottenere la maggioranza e si dovrà aspettare il 20 dicembre per il ballottaggio.

L’isola rossa, come viene chiamato il Paese malgascio, partecipa a queste elezioni con particolare trepidazione perché sono le prime dal colpo di stato del 2009 e dalla nuova costituzione democratica promossa nel 2010 con un referendum dal presidente di transizione nominato dalla Corte Suprema, Andry Rajoelina. Le promesse elettorali ricordano quelle italiane: rilancio del turismo, aiuti ai disoccupati, nuove infrastrutture, riforma del sistema dell’istruzione e rafforzamento dei meccanismi democratici, nuovi piani di azione, riduzione del debito e pareggio del bilancio.

Ma a chi vengono rivolte queste promesse? Ad un Paese grande come la Francia, con una popolazione di oltre 20 milioni di persone che mostra sintomi di generale degrado avanzato: situazione politica catastrofica, un apparato statale in disintegrazione, saccheggio sgangherato delle materie prime e depauperamento della popolazione, devastazione ambientale, insicurezza dilagante nella capitale, esplosione di una criminalità sanguinosa e povertà di massa.

In breve il Madagascar è un’ isola che sta precipitando nell’abisso capitalista: negativa la crescita economica degli ultimi 40 anni, 92 per cento della popolazione al di sotto della soglia di povertà.

Eppure l’isola rossa ha eccezionali potenzialità: colossali risorse naturali, una diversità biologica e minerale straordinaria, una cultura raffinata e molto composita e una popolazione giovane e dinamica. Ma in questo mondo alla rovescia, il Madagascar è povero a causa della sua ricchezza!

Per il modo di produzione capitalistico sia delle vecchie potenze mondiali come dei Paesi emergenti, l’accesso alle materie prime è diventato per Stati e imprese transnazionali il punto cruciale dei conflitti. Di conseguenza, il Madagascar, indebolito da decenni di crisi sociale e politica, è un gioiello non protetto, assediato da una folla di avvoltoi.

Nonostante le enormi ricchezze il Paese, per incapacità e voracità della classe dirigente, è ricorso ai prestiti del Fondo Monetario Internazionale, alla rinegoziazione del debito con il Club di Roma a metà degli anni Ottanta, imboccando un perverso percorso ben conosciuto dalla Grecia e dall’Italia, fatto di privatizzazioni, di cessioni abusive di terreni coltivabili, tra manifestazioni contrarie, repressioni e colpi di stato.

La cricca politica, marcia fino al midollo, finge di scandalizzarsi. In realtà la caotica macchinazione di interessi privati  porta con sé un allarmante decomposizione dell’apparato statale, di cui il ridimensionamento delle politiche pubbliche e la corruzione endemica sono i segni più evidenti. Si creano in tal modo le condizioni ideali per la frenesia delle multinazionali.

Se le grandi miniere malgasce, con un valore stimato di 300 miliardi di dollari, fanno gola alle vecchie potenze mondiali e ai nuovi Paesi emergenti, quello che potremmo chiamare l’assalto al Madagascar, El Dorado del petrolio è iniziato: le multinazionali sia occidentali che asiatiche (Total, Shell, Chevron e Petrochina) annunciano regolarmente la scoperta di nuovi siti di perforazione. Attualmente ci sono una ventina di progetti onshore e otto offshore.

Tali operazioni non portano ovviamente  alcun beneficio economico alla popolazione malgascia . Anzi, al contrario , la gente del Madagascar sta già “godendo” degli aspetti negativi: devastazioni ecologiche, sanitarie e climatiche messe in moto (contaminazione dell’aria, del suolo e delle acque, devastazione del paesaggio, proliferazione di tumori dovuti all’esposizione a sostanze tossiche, esplosione urbana, aumentato costo della vita, distruzione dei modi tradizionali di vita). Nulla, del resto, si può cambiare, perché le incredibili pressioni geopolitiche e geostrategiche, dalle  quali questo saccheggio si dipana, saranno intensificate dalla posizione che il Madagascar sta acquisendo nel grande gioco mondiale.

Elezioni presidenziali? Certo la commissione elettorale, venerdì scorso, ha detto che i due principali candidati, Jean Louis Robinson e Hery Rajaonarimampianina gareggeranno il 20 dicembre prossimo. La votazione si svolgerà tra i due candidati sostenuti dai due principali avversari politici del Madagascar: l’ex presidente Marc Ravalomanana, esiliato in Sud Africa dal golpe del 2009 e l’uomo che lo cacciò Andry Rajoelina, il “Berlusconi malgascio” come viene chiamato.

Intanto nell’isola e dintorni almeno quattro grandi potenze geopolitiche – in attesa delle elezioni – stanno raddoppiando la loro aggressione alla ricerca di grandi progetti industriali e commerciali. Innanzi tutto la Francia come l’unico Paese ricco di condivisione di un confine con il Madagascar (Réunion, un dipartimento francese, una delle Isole Mascarene), che beneficia anche dalle vestigia del suo potere coloniale, ancora molto vivo nella cultura malgascia e nell’economia.

Alla luce di questi fatti, possiamo quindi capire meglio l’aperto sostegno degli Stati Uniti e Sud Africa per il candidato di Marc Ravalomanana, l’ex presidente rovesciato da un uomo di Francia, Andry Rajoelina.

Mentre nel “push orientale” primeggia la Cina,  primo esportatore verso l’isola rossa, con una posizione in crescita nel settore minerario (carbone e petrolio) e con buoni rapporti con Andry Rajoelina, l’attuale capo di stato, altri avvoltoi stanno volteggiando sopra il Madagascar: India, Thailandia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e il Qatar.

Di fronte a questa sinistra festa di avvoltoi, i malgasci sfruttati, relegati ad una vita di miseria con nessun altro diritto se non quello di rimanere in silenzio, non hanno ancora, per il momento, fatto alcuna azione di massa per una rivolta profonda. Troppo tormentati, divisi e inondati di propaganda religiosa (soprattutto cattolica ed evangelica, anche se l’islam sta facendo molta strada) per ribellarsi ed immaginare prospettive di emancipazione, i Malgasci con la loro rassegnazione e rabbia riusciranno a scuotere l’arroganza dei saccheggiatori capitalisti decisamente troppo sicuri di sé?

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