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L’Onu mette in guardia dalla terrificante situazione in Siria

di Carolina Ambrosio

La guerra in Siria al di là dei meccanismi militari, è una défaite quotidiana non solo per gli attori in campo ma ancor di più per gli indifferenti astanti di tutto il mondo. Le conseguenze, in campo sociale, culturale e politico saranno devastanti e sicuramente un ritorno alla normalità sarà molto duro. La crisi umanitaria ha raggiunto proporzioni che rendono impensabile una soluzione indolore, per quanto dolorosa sia stata questa guerra ormai quinquennale. Purtroppo, almeno per il momento, non se ne vede una conclusione.

Quel che è certo è che i costi saranno altissimi. Le Nazioni Unite per fronteggiare la crisi umanitari siriana hanno chiesto aiuti finanziari. L’obiettivo è raggiungere 8,4 miliardi di dollari americani necessari per far fronte alle emergenze della popolazione siriana, che per la maggior parte è costretta a vivere in campi profughi arrangiati ovunque. Senza più casa né famiglia, i sopravvissuti sono costretti ad abbandonare la propria terra e fuggire in altri Paesi lontani o vicini che siano, in cerca di una possibilità di sopravvivenza.

La crisi siriana, come si è visto, ha raggiunto un livello tanto alto che anche la più potente organizzazione mondiale non governativa è posta di fronte ad un escalation di violenze, e di conseguenza, di emergenze umanitarie. Ci sono campi profughi Onu persino in zone desertiche, carenti d’acqua.

Per questo motivo, in occasione della terza conferenza internazionale di raccolta fondi per la Siria, il segretario generale Ban Ki-moon e Abdullah al-Maatuq, inviato Onu per le questioni umanitarie, chiedono un aiuto concreto che renda possibile l’attuazione di misure in grado non solo di arginare la crisi umanitaria ma di fermarla, per quanto sia difficile.

La conferenza anche quest’anno, così come le precedenti conferenze, si è svolta in Kuwait. Ban Ki-moon ha ammonito quanti gli scorsi anni non hanno mantenuto gli impegni presi.

Il conflitto è ormai entrato nel suo quinto anno, durante i quali si sono toccati picchi di morti e fughe verso altri Paesi. Solo l’anno scorso si sono contati 76mila morti su un totale di 215mila morti dall’inizio del conflitto. E ogni giorno porta con sé il peso di un Paese orami distrutto e di centinaia di persone morte, ferite o fuggite.

Le parole di Ban Ki-moon danno, in un certo senso, voce ad una sensazione diffusa purtroppo un po’ ovunque, per cui si percepisce la crisi in Medio Oriente, in generale, e in Siria, in particolare, come una situazione dal carattere kafkiano, come se tale crisi non fosse anche il frutto di anni di prepotenze e di ingerenze occidentali ai danni di Paesi che si vanno indebolendo in maniera inversamente proporzionale alla crescità dei profitti e degli interessi economici dell’Occidente in questa regione.

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