L’Onu approva risoluzione sulla Siria, via libera al piano di pace
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità una risoluzione sulla crisi in Siria; in sintesi estrema: Governo siriano e opposizioni concorderanno un cessate il fuoco; entro giugno, con la mediazione dell’inviato speciale dell’Onu Staffan de Mistura, le trattative sboccheranno in una “governance” che includa le opposizioni; la fase transitoria durerà non più di 18 mesi; alla fine il Popolo siriano sarà chiamato alle elezioni.
Un testo concordato in precedenza fra il Segretario di Stato Usa Kerry e il Ministro degli Esteri russo Lavrov, e poi approvato, fra mille limature e distinguo, dai 17 Paesi coinvolti nella guerra siriana; al termine, il passaggio al Consiglio di Sicurezza. Un testo che, fra infinite ipocrisie e contorsioni, evita accuratamente tutti i punti di frizione fra le parti, ma prende necessariamente atto del radicale mutamento della situazione sul campo.
Archiviata la vecchia precondizione della sua destituzione, nulla si dice sul legittimo presidente Bashar Al-Assad; malgrado l’ennesima dichiarazione di Obama sul suo allontanamento, Lavrov è andato al nocciolo del problema: “Non siamo qui per discutere di Assad, ma per identificare una opposizione in grado di partecipare ai negoziati”.
E qui si entra nel vivo della discussione: per anni Turchia, Arabia e Qatar, col pieno appoggio degli Stati Uniti e quello interessato di diversi Paesi europei, hanno favoleggiato di un’opposizione “moderata”, salvo scoprire adesso quanto sia arduo trovarla, a meno di non identificarla nei qaedisti di Al-Nusra o nei salafiti di Al-Sham.
I sauditi, compreso d’aver perso la partita sul campo, hanno tentato d’inventarsene una riunendo a Riyadh un centinaio di sigle più o meno posticce, per continuare attraverso loro il proprio gioco politico. Ma è una manovra troppo scoperta, e i giordani, incaricati nell’ambito della Conferenza di Vienna di redigere una sorta di elenco dei “buoni” e dei “cattivi”, sono in grave imbarazzo nel consegnarlo, perché dimostrerebbero l’inconsistenza della favola di un’opposizione che non esiste.
Ancora più scoperto s’è rivelato il gioco di Erdogan: ha puntato tutto sul collasso della Siria per poi impadronirsi delle spoglie, ma non una delle sue mosse sempre più azzardate ha avuto successo. Malgrado ogni tipo d’aiuto, quelle bande si stanno sciogliendo dinanzi all’offensiva siriana appoggiata dagli sciiti e dalla Russia, gli unici che stanno realmente combattendo i terroristi.
Ha arrischiato l’ennesima provocazione abbattendo il Su-24 russo, per coinvolgere la Nato in uno scontro che non è in grado di sostenere da solo, ma ha ottenuto solo una pesante ritorsione economica e diplomatica, ed ha fornito a Mosca la motivazione per aumentare la sua presa in Siria.
È vero, dinanzi all’ira del Cremlino, il Q.G. dell’Alleanza Atlantica ha annunciato l’invio di navi, aerei e radar nel Mediterraneo Orientale, ma è scena. Un mese fa gli Usa avevano inviato uno squadron di F15-C, ma è stato appena annunciato il loro rientro alle basi nel Regno Unito; il motivo è che dopo settimane di discussioni, i comandi non si erano messi d’accordo sulle regole d’ingaggio. In poche parole, Washington non ha accettato di fare il guardaspalle a un boss irresponsabile come Erdogan, e al contempo ha mandato un messaggio distensivo ai russi.
Non solo: dopo l’ennesima provocazione turca di mandare truppe in Iraq, con la connivenza dei politici curdi (collusi con lui in mille traffici) ma l’aperta ostilità del Governo di Baghdad, Obama ha telefonato al “sultano”, chiedendo che ritirasse quei soldati.
Al di là delle dichiarazioni di circostanza, è evidente che un realistico accordo fra Mosca e Washington (e diremmo anche Teheran) è avvenuto, prova ne siano le ripetute dichiarazioni distensive di Putin. Ormai gli sviluppi sul campo hanno radicalmente mutato la situazione in Siria ed Iraq, dando le carte in mano a russi e iraniani.
La risoluzione dell’Onu è volutamente generica, il tempo (e anche poco) la definirà con i contenuti tanto ostici a Turchia, Arabia e Qatar. Il sogno di “sultani” e “petromonarchi” si sta rapidamente infrangendo sul nuovo Medio Oriente che sta sorgendo. A breve la Storia (e i Popoli per essa) li chiamerà a rispondere dei tanti crimini commessi.