L’Italia sprofonda, ma per qualcuno va tutto bene
Ci risiamo: nel Global Competitiveness Report 2013–2014, l’Italia scende ancora dal 42° al 49° posto nella classifica della competitività complessiva mondiale, ma sprofonda al 102° nella valutazione del contesto istituzionale, in parole povere la qualità della Pubblica Amministrazione. Che quella sia una palla al piede per il Sistema Italia è cosa arcinota, che qualcuno, al di là degli stucchevoli proclami, voglia intervenire seriamente è altro discorso.
La stessa via scelta, ma solo a parole, per rimediare, rivela tutta la mancanza di comprensione e di volontà per risolvere il problema: affidare tutto a tagli drastici è errato. I tagli degli sprechi, da noi, vengono annunciati, ma, sotto le pressioni delle lobby che ci ingrassano, regolarmente ritirati, finendo con i soliti tagli lineari che incidono anche e soprattutto dove non dovrebbero. E poi, facendo così si tenta, male, d’agire sulle conseguenze della pessima Amministrazione che abbiamo, non sulle cause.
Se si volesse fare un’azione seria, occorrerebbe domandarsi se l’organizzazione della cosa pubblica è adatta ad erogare i servizi per cui esiste, e se le risorse (umane ed economiche) sono distribuite in modo da erogarli al meglio. La risposta è ovviamente negativa e questo perché i ruoli dirigenziali ed esecutivi della Pubblica Amministrazione e le risorse, sono distribuiti con criteri tanto lontani dal merito e dall’efficienza quanto vicini alla contiguità con lobby, centri di potere ed “amicizie” su cui si regge tutto. Le stesse procedure sono studiate per scaricare d’ogni responsabilità chi agisce, permettendogli nella sostanza discrezionalità e potere, e i controlli, quando ci sono (assai di rado), difficilmente toccano chi sbaglia mettendo a rischio la sua comoda nicchia.
Attaccare le radici del pessimo funzionamento di un’Amministrazione che dilata i costi e produce problemi invece che servizi sarebbe logico, ma avrebbe un altissimo costo politico e di consenso: la guerra delle infinite corporazioni piccole e grandi che si vedrebbero insidiate. Così si sceglie la spending review all’italiana, fatta per bruciare commissari invece che spese; una sorta d’arma di distrazione di massa per deviare l’attenzione della gente da un apparato statale che non funziona e così com’è mai potrà funzionare, focalizzandola su piccole operazioni di facciata da buttare in pasto a un’opinione pubblica ormai inferocita.
Il problema nostro non è il rimborso gonfiato, lo spreco, la consulenza assurda, il problema è il generale reticolo di complicità, di privilegi divenuti “intoccabili diritti acquisiti”, di coincidenze d’interessi fra politici e burocrati, che li producono tutti i disastri che ci affliggono.
Là bisognerebbe affondare il bisturi, anzi, l’accetta, là bisognerebbe mutare radicalmente regole e linee guida; bisognerebbe, ma visto che chi ci ingrassa sono in tanti, e come già detto le proteste loro, di sindacati e affini sarebbero feroci, dubitiamo che un Governo affronterà mai il problema, meno che mai quello che ora abbiamo, in compulsiva ricerca di consenso pur di rimaner dov’è per i prossimi “1000” giorni.