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L’inferno delle carceri saudite colpisce anche le famiglie dei prigionieri sciiti

di Cristina Amoroso

Che l’odore dell’inferno colmi le prigioni del Regno Saudita lo dimostrano i continui appelli delle Associazioni in difesa dei Diritti Umani nel tentativo di tutelare i numerosi prigionieri di coscienza, che dalla cosiddetta primavera araba riempiono le carceri saudite.

Lo dimostra Amnesty International quando nella sua dichiarazione pubblica di qualche tempo fa chiede la liberazione di tutti i prigionieri di coscienza indipendentemente dal perdono reale annunciato da re Salman bin Abdul Aziz Al-Saud, il 29 gennaio, nella consapevolezza che le condizioni di perdono rilasciate dal Ministero degli Interni avrebbero escluso i prigionieri di coscienza sciiti, condannati per la “sicurezza dello Stato”, indicato dai tribunali come “crimine terroristico”.

Lo dimostra la famiglia del blogger Raif Badawi, condannato a 10 anni e mille frustate per avere “insultato l’Islam”, la quale teme un nuovo processo della corte penale del Paese nell’ambito della disciplina introdotta lo scorso autunno e la possibilità di una condanna a morte per decapitazione.

Al di là di tutti i processi iniqui che hanno condannato a morte, a lunghi anni di carcere e a punizioni corporali i prigionieri di coscienza per avere esercitato pacificamente i loro diritti alla libertà di espressione, associazione e riunione, quell’odore dell’inferno colpisce anche le famiglie dei prigionieri nel Paese custode de La Mecca, che disprezza le leggi islamiche, le carte dei diritti umani internazionali, violando regolamenti carcerari e gestendo le carceri in maniera disumana anche nel terribile trattamento delle famiglie dei detenuti, senza nessun controllo indipendente per garantire che i detenuti e le loro famiglie godano dei loro diritti.

Violazioni dei diritti umani non si limitano ai detenuti, ma raggiungono anche le loro famiglie, che condividono la sofferenza della privazione, l’ansia, e il destino sconosciuto dei loro cari nelle carceri remote costruite in luoghi lontani. Le famiglie dei prigionieri di coscienza passano attraverso le violazioni illegali dei diritti umani che degradano la dignità umana, umiliando e insultando ogni membro della famiglia.

Decine di testimonianze di mamme, mogli, sorelle appartenenti alla comunità sciita sono state segnalate e raccolte dall’Aman Center for Human Rights Studies (Achrs), un’organizzazione indipendente, regionale, scientifica, centro di sostegno per studi, ricerche e formazione in materia di diritti umani e democrazia.

Le famiglie – in particolare donne e bambini – sono esposti a procedure terribili ad ogni visita ai loro parenti arrestati. Minacce e pressioni dopo l’arresto e la scomparsa del congiunto, violazioni della privacy mentre si cerca di trattenere le lacrime nelle ispezioni di fronte alla sofferenza per la tortura psicologica e fisiologica praticata da guardie carcerarie e ispettori, l’ispezione diventa una tortura ed una lotta soprattutto quando ci sono bambini da ispezionare.

L’oppressione e l’umiliazione di chi deve aspettare sei mesi, un anno per potere vedere il marito o contattarlo al telefono: “Ho sempre sentito il disgusto per il loro modo di controllo, ma ho sempre cercato di stare calma per mantenere la sicurezza dei miei figli, la mia e soprattutto la sicurezza dei nostri detenuti, dal momento che la prigione è un mondo pericoloso che solo le persone che ci sono state, lo sanno. Nonostante quello che passiamo con la paura e l’umiliazione durante le visite, lo consideriamo solo un piccolo prezzo per vedere i nostri cari. Sappiamo e comprendiamo che tutte queste procedure hanno lo scopo di farci soffrire, ma tutta la nostra stanchezza va via una volta che vediamo i nostri cari. E’ come un bel sogno, quando siamo con loro, il tempo passa molto in fretta. Questa lotta si ripete ogni volta, ma teniamo la nostra forza e pazienza perché sappiamo che Dio è con i popoli oppressi”, sono affermazioni rilasciate dai alcuni parenti di detenuti ad Aman Center.

Tutte queste pratiche sono senza giustificazioni legali o esigenze di sicurezza. L’Aman Center condanna le autorità saudite per la loro oppressione e le torture praticate nelle carceri verso le famiglie dei detenuti, e per le procedure dure e inutili delle visite.

L’Aman Center denuncia il Ministero degli Interni Saudita per avere adottato l’approccio di trattamento orribile che degrada la dignità umana, al fine di diffondere la paura e l’intimidazione tra le famiglie dei prigionieri in modo che smettano di visitare e sostenere i loro parenti.

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