Lima: “Cambiamo il sistema non il clima”, manifestazione alternativa al Summit sul Clima
Mentre nel quartier generale dell’esercito, conosciuto come Pentagonito, il piccolo Pentagono, il presidente peruviano Ollanta Humala e altri presidenti parlano al vertice mondiale sul clima Cop20, l’11 dicembre per le strade di Lima più di 20mila manifestanti hanno marciato lanciando slogan contro il summit ufficiale, in difesa della “madre terra”e dei diritti delle popolazioni indigene.
All’interno del Pentagonito ai rappresentanti di 195 Paesi che siedono attorno al tavolo per definire la strategia contro il cambiamento climatico e preparare il terreno per il vertice di Parigi l’anno prossimo, il segretario generale dell’Onu, Ban Ki moon ha lanciato un appello per accelerare il passaggio verso la green economy. All’esterno le strade risuonavano di un altro appello: “Cambiemos el sistema, no el clima” urlato da giovani, donne, contadini, lavoratori e sindacalisti, rappresentanti dei popoli indigeni del Perù e di altri Paesi, gruppi ambientalisti, uniti in questa marcia pacifica organizzata dal Summit alternativo dei Popoli. Migliaia di persone hanno partecipato alla mobilitazione, che si è conclusa con una manifestazione in Plaza San Martin, nel centro storico di Lima.
Alle parole del ministro dell’Ambiente peruviano, Manuel Pulgar-Vidal: “Non abbiamo mai osservato con tanta chiarezza le molteplici opportunità economiche e i benefici ambientali che un controllo del cambiamento climatico e un adattamento rapido possono presentare”, nella seconda piazza più grande di Lima tra le bandiere arcobaleno si alzavano slogan come “Cambiamo il sistema non il clima”, riprendendo lo slogan lanciato dal Capitano Chavez nel suo discorso a Copenaghen nel corso della XV Conferenza Internazionale del cambiamento climatico delle Nazioni Unite il 16 dicembre 2009.
Certo, i manifestanti ricordavano le parole di Chavez a Copenaghen, “Quello che noi viviamo su questo pianeta è una dittatura imperiale, e da qui si deve proseguire e denunciare. Abbasso la dittatura imperiale! Evviva il popolo, la democrazia e l’uguaglianza su questo pianeta!”. Il capitalismo, il modello di sviluppo distruttivo sta distruggendo la vita, minaccia di porre fine in modo definitivo alla specie umana”.
Nell’ambito delle attività parallele al Vertice Cop 20, si è riunito a Lima anche il Tribunale Internazionale per i Diritti della Natura in difesa della Madre Terra, con la presenza di numerosi ospiti per discutere di cambiamenti climatici, foreste, minerali, industrie del petrolio e con un panel di giudici internazionali. Dodici casi di violazioni dell’ambiente e dei diritti indigeni sono stati analizzati dalla Corte, che ha un carattere etico, al cui livello sono mantenute le sue risoluzioni, e le loro condanne sono un appello al mondo per difendere la natura.
Tra i casi analizzati dalla Corte la compagnia petrolifera Argentina Pluspetrol è stata accusata di attività di inquinamento nell’Amazzonia peruviana, con gravi ripercussioni per l’ambiente e la vita delle comunità indigene. Pluspetrol è accusata di inquinare di rifiuti tossici i bacini di quattro fiumi, in una zona dove vivono circa 25mila abitanti di diverse comunità indigene. Sono state condannate anche la Chevron per “danno irreversibile” delle sue attività petrolifere in Ecuador, la British Petroleum, per la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico, considerato il peggiore della storia e il governo del Queensland (Australia), per la distruzione del Reef.
Tra i casi accettati da questa Corte vi è la morte di 33 persone nel corso di una protesta indigena in Amazzonia peruviana nel giugno 2009 e del perseguimento di 52 indigeni leader di queste proteste; il progetto minerario Conga in Perù, contro le comunità contadine, le cui proteste hanno lasciato cinque morti; la costruzione della centrale idroelettrica di Belo Monte nella foresta pluviale brasiliana.
Mentre i rappresentanti dei Paesi più direttamente minacciati dal cambiamento climatico rinnovano il loro grido d’allarme: “Gli indigeni sono in prima linea e pagano il prezzo più elevato, ereditano le più gravi conseguenze di un crimine che non hanno mai commesso, quello della crisi climatica”, l’Unione Europea si è impegnata a ridurre del 40% i gas serra entro il 2030. Ma soprattutto gli Stati Uniti e la Cina hanno raggiunto uno storico accordo per la riduzione delle emissioni rispettivamente nei prossimi 10 e 15 anni.