Libia: sbarca a Tripoli il governo “costruito” dall’Occidente
Mercoledì scorso, Fayez Serraj, il capo del sedicente governo di unità nazionale libico, è giunto a Tripoli. Appena giunto si è chiuso immediatamente nella base navale di Abu Seta sotto la protezione di varie milizie (e di quella discreta di Special Forces britanniche) e inseguito dalla minacce di Khalifa Ghwell, il capo del cosiddetto governo di Tripoli. L’operazione è stata resa possibile dagli Italiani, ed appoggiata da Inglesi e Francesi con il pieno consenso dell’inviato dell’Onu Kobler.
Secondo le ricostruzioni, vista l’impossibilità di atterrare all’aeroporto di Mitiga, controllato e tenuto sotto tiro da milizie ostili, Serraj è stato imbarcato nel porto tunisino di Sfax insieme a sette membri del consiglio presidenziale e cinque assistenti. A prenderli a bordo è stata la motovedetta Assaddada di quanto resta (assai poco) della Marina libica, convinta ad appoggiare Serraj dal generale Paolo Serra, consigliere militare di Kobler.
La missione ha rischiato di naufragare quando il decrepito motore dell’unità si è rotto all’arrivo a Sfax; effettuata la riparazione alla bell’e meglio, la motovedetta è ripartita per Tripoli sbarcando il suo carico sotto la protezione di milizie rese “amiche” da intense trattative condotte dietro le quinte.
Ghwell, il capo dell’amministrazione di Tripoli, che si è visto tagliato fuori dai giochi insieme alla sua fazione, ha intimato a Serraj di consegnarsi o tornare a Tunisi. Nel frattempo, in città s’accendevano sporadici scontri fra i favorevoli e i contrari al governo di unità nazionale, ed alcune manifestazioni pro Serraj (organizzate da tempo per accoglierlo in una caricatura di investitura popolare) sono state disperse dalle raffiche di mitragliera di milizie contrarie.
Il viaggio fortunoso, come lo sbarco, è stato strettamente monitorato da unità inglesi, con gli Italiani a fare da registi ed i Francesi pronti a supportare, anche se il responsabile della sicurezza di Serraj ha avuto il coraggio di dichiarare “che nessuna forza straniera ha partecipato all’operazione”. In ogni caso, subito a Roma, Londra, Parigi ed al Palazzo di Vetro di New York, è stata una pioggia di dichiarazioni soddisfatte.
L’operazione, che ha avuto per protagonisti il generale Paolo Serra e l’Aise (il Servizio estero italiano), mirava a superare lo stallo nell’insediamento del cosiddetto governo di unità nazionale, causato dal rifiuto dei due governi di Tripoli e di Tobruk a fare un passo indietro. Stallo che stava per rendere insostenibili le pressioni di Washington e Parigi ad intervenire anche in assenza di una qualunque intesa fra le fazioni.
L’accordo, raggiunto con una fitta serie di trattative condotte a Roma, in Libia ed in Turchia, ha spostato nel campo di Serraj la maggior parte delle potenti milizie di Misurata e della stessa coalizione ombrello Alba Libica, espressione della Fratellanza Musulmana, tramite l’”aggancio” dell’influente Abdel Hakim Belhadj.
I giochi sono divenuti immediatamente manifesti quando il presidente del parlamento di Tripoli, Ghwell, sconfessato dai notabili della sua base, dopo aver inutilmente minacciato Serraj, è stato costretto ad abbandonare la Capitale. Contemporaneamente, è arrivato l’appoggio al governo unitario di Ibrahim Jadran, il potente capo delle Petroleum Facilities Guards, la milizia che ha il controllo dei terminali di petrolio e gas della Cirenaica.
In questo modo a Serraj è stato assicurato non solo l’appoggio della coalizione di forze che sosteneva il Governo di Tripoli, tranne alcune marginali frange irriducibili, ma anche quello di Jadran, fondamentale per la spedizione delle risorse energetiche. A stretto giro, sono cominciate a decine le adesioni di città al governo unitario che, ormai, nei fatti, si è insediato, mentre sanzioni della Ue stanno colpendo i leader ribelli (a Tripoli, il premier Ghwell e il capo del parlamento Abusahmain; a Tobruk, il presidente del parlamento e capo dello stato Saleh).
Ma c’è un’altra ottima ragione che ha dettato la mossa su Tripoli, forse la più importante: è là che hanno sede le Istituzioni che davano ricchezza al Paese, fin’ora paralizzate dalla situazione di stallo. Adesso le mosse di Serraj, e dei suoi sponsor, puntano a fargli avere il controllo della National Oil Corporation (Noc), l’Ente statale che può dare fondamento giuridico ai contratti di sfruttamento di petrolio e gas libici; con la Noc, e la disponibilità dei terminal di Cirenaica e Tripolitania, al premier è garantito un fiume di ricchezza. E per avere capitali pronta cassa, ci sono a disposizione le riserve della Central Bank of Libya – Cbl – (circa 60 Mld) e della Libyan Investment Autority – Lia – (circa 67 Mld), fin’ora congelate e che le autorità finanziarie internazionali si sono dette disponibili a sbloccare rapidamente.
Con una forte base di miliziani, le risorse energetiche a disposizione e i capitali della Cbl e della Lia, la posizione di Serraj diviene solida e può confrontarsi contro l’opposizione del governo di Tobruk, ostaggio del generale Haftar, contrarissimo ad un governo unitario che lo vedrebbe fortemente ridimensionato.
Quella italiana è stata una mossa del cavallo che ha spostato il fulcro dell’azione da Tobruk a Tripoli (che continuerà ad essere appoggiata da Turchia e Qatar), spiazzando per una volta Parigi, che in ogni caso rimane sul terreno poiché è irrealistico che abbandoni la Cirenaica e gli interessi della Total.
A giorni si terrà al Cairo un incontro fra Serraj e il presidente del parlamento di Tobruk, sotto gli occhi di Al-Sisi che ne è il tutore: è difficile che non si addivenga a un compromesso che conviene a tutti, anche all’Egitto.
A quel punto, accantonati i pretendenti locali, gli accordi per la spartizione delle risorse libiche, già presi fra le Potenze interessate, potranno prendere il via. Ovviamente ci saranno resistenze da parte di quel pulviscolo di milizie e bande criminali tagliate fuori dall’accordo; ovviamente ci saranno i colpi sanguinosi di un terrorismo manovrato da chi vuol strappare altre concessioni; ovviamente ci sarà altro sangue ed altre distruzioni sulla pelle di un Popolo martoriato e di cui a nessuno importa. Ma è l’imperialismo che funziona così.