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Luce verde del Pentagono per nuovi carichi di armi ai “ribelli” siriani

di Salvo Ardizzone

In Siria, negli ultimi mesi del 2013, i qaedisti dell’Isil (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante), grazie al fiume di denaro e mezzi rovesciatogli addosso dai loro sostenitori, stavano guadagnando posizioni in tutto il Paese a scapito di altre fazioni della “ribellione”. Gli Usa da tempo s’erano defilati, temendo che gli aiuti finissero in mani sbagliate, ma si son resi conto che così finivano per tagliarsi fuori dal gioco, lasciando il campo troppo libero a Sauditi, Qatarioti e agli altri attori del Golfo; così il Congresso ha dato luce verde ad una operazione “coperta” per fornitura d’armi leggere, sistemi anticarro, munizioni ed apparati radio (ma non missili superficie–aria: è troppa la paura) e denaro. Dovrebbero servire a rianimare la rivolta che, nella regione centro meridionale del Paese, è a mal partito sotto i colpi dei lealisti.

Nelle intenzioni gli aiuti dovrebbero essere indirizzati agli avversari dell’Isil, e in particolare alle fazioni più “moderate” del Free Syrian Army; ma qui cominciano i guai grossi: di moderato il Fsa ha ormai ben poco, da molto tempo s’è spostato su posizioni ben diverse per intercettare il fiume di denaro che viene dal Golfo, ed inoltre, è più che sicuro che quegli aiuti arriverebbero anche al Fronte Islamico. Formatasi nell’ottobre del 2013 come organizzazione ombrello che raccoglie un’enorme accozzaglia di bande e formazioni di matrice salafita e wahhabita, è oggi la realtà più forte del fronte “ribelle”, combattendo l’Isil al fianco degli altri qaedisti di al Nusra (che si son divisi dall’Isil solo per questioni di convenienza e leadership); dietro, che la foraggiano incessantemente, ha le Intelligence onnipresenti dei Paesi del Golfo e parecchi ricchissimi donatori privati della stessa area.

Sia come sia, gli Usa, volendo aver voce in capitolo sul campo, han deciso di tornar a partecipare a quel mattatoio, con la segreta intenzione di mettere sotto pressione Assad e provare ad ammorbidirne la posizione nei negoziati in corso, nella speranza di sbloccarli.

Il fatto è che tutto quel teatro è un unico pantano di sangue causato dai petrodollari; per averne un’idea, si calcola per difetto che solo nel periodo tra luglio e gennaio, e solo nel sud del Paese, ai “ribelli” siano arrivati almeno 1,2 mld di dollari. Questi soldi servono in parte ad acquistare armi di provenienza est europea (parliamo di armi leggere, sistemi anticarro, Rpg, mortai, munizionamento, etc.); l’acquisto avviene attraverso conti gestiti dall’Intelligence saudita, e ufficialmente destinato alle Forze Armate Giordane; il materiale affluisce in tre depositi in Giordania e successivamente distribuito ai “ribelli” sotto la supervisione del Gid (l’Intelligence giordana) e del Military Operation Command (Moc), un organismo (la cui esistenza è stata ovviamente smentita più volte dai giordani) che funge da coordinamento fra i servizi giordani, americani, sauditi e pare di qualche Paese europeo.

La rimanente parte del denaro (e tanto!) serve a pagare i miliziani; occorre infatti tenere ben presente che i sauditi e i loro alleati, per dare manovalanza alla loro guerra per procura, attraverso intermediari hanno reclutato da tutto il mondo sunnita ciò che era disponibile sulla piazza (spesso il peggio): fra tutti i disperati della Tunisia, della Libia, dell’Egitto, tanti anche fra i galeotti fuggiti in massa durante le varie “primavere”; e ancora dalla Cecenia, dal Daghestan e da tutto il Caucaso, a centinaia pure dall’Europa. Insomma, a suon di dollari hanno attirato nella loro guerra migliaia e migliaia di uomini che poco avevano da perdere e tanto da guadagnare; e questi, giunti in Siria, combattono, si, ma in genere per difendere il luogo dove si installano e dove, controllando il territorio, mettono radici ai loro affari. Traffici di armi, droga, esseri umani ed organi umani (si, anche quelli) e soprattutto rapimenti (come tanti occidentali hanno provato); tutto va bene per far altri soldi, anche riscuoter taglie sui rifornimenti di cibo, acqua e medicinali ad una popolazione allo stremo.

A questi autentici predoni, e sono tantissimi, della Siria importa solo il guadagno che vi possono realizzare.

È un caos in cui gli Americani farebbero volentieri a meno d’infognarsi, ma come detto, volendo aver voce in capitolo debbono unirsi agli altri e sperare d’arrivar presto a un accordo negoziale. Così, coordinati dal Gid, gli aerei cargo arrivano all’aeroporto di Mafraq, per contribuire ad alimentare il macello; le parole dei negoziatori (nobili quanto ipocrite) lì non valgono, vale solo la più brutale violenza.

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