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Liberazione: quando uno Stato rivendica la sua sovranità

Il 25 aprile si celebra la Liberazione dell’Italia da un’occupazione. Al di là della ricorrenza, passati quasi 80 anni, il significato che resta è che uno Stato può definirsi tale se sul proprio territorio può far valere le proprie leggi. Più semplicemente, quando la sua politica, le sue scelte, siano ispirate agli interessi del suo Popolo, del suo Sistema Paese, senza condizionamenti, senza ambiti oscuri o reticenti. Questa è Liberazione, questa è la Libertà d’uno Stato. Lottare per questo è giusto, è sacrosanto, è rivendicare la sovranità d’una comunità sopra se stessa.

Quale Liberazione?

Vorremmo ricordare che proprio dopo il 25 aprile del ’45 è cominciata un’altra cessione di sovranità, un’altra abdicazione dello Stato ai propri doveri verso la propria gente. L’Italia allora fece una scelta di campo, che dopo qualche anno determinò il suo ingresso nella Nato. Non vogliamo entrare nel merito di quella scelta politica, cosa che ci porterebbe assai lontano, e d’altronde il mondo d’allora s’era diviso in due. Però, e questo conta assai allora come adesso, l’adesione alla Nato rinviava ad accordi bilaterali fra i Paesi membri per quanto riguardava la concessione di basi, l’utilizzo delle stesse, il posizionamento di truppe alleate e d’armamenti sul territorio e soprattutto le finalità del loro impiego, perché queste materie non erano affatto incluse nell’adesione.

Senza voler scendere nei dettagli della pletora infinita d’accordi bilaterali fra Italia e Usa, e della dubbia valenza costituzionale degli stessi (ce ne occuperemo in un articolo a parte), i due più rilevanti sono l’Air Technical Agreement del 30/06/1954 e il Bilateral Infrastructure Agreement del 25/10/1954 definito Bia o “Accordo Ombrello” tanto è ampio, che dovrebbero disciplinare le attività dei velivoli americani in territorio italiano il primo e l’utilizzo delle basi concesse in uso alle forze Usa il secondo.

Politica tra complicità e servilismo

Saltano subito agli occhi alcune cose: entrambi, malgrado siano passati quasi 80 anni, erano e restano secretati. Alla faccia del controllo parlamentare sulla politica estera del Paese dettato dalla Costituzione, l’Italia s’è impegnata allora e, a tutt’oggi, nessuno può sapere come e a cosa. Inoltre, se si evoca la Nato a giustificazione di tutto, gli impieghi di basi, truppe ed armamenti dovrebbero essere finalizzati solamente a scopi difensivi funzionali all’Alleanza Atlantica. Può starci (e fino a un certo punto) ai tempi della Guerra Fredda, ma cosa c’entrano con la Nato le sistematiche operazioni che gli Usa lanciano in giro per il mondo, appoggiandosi alle basi sul nostro territorio?

Aviano, Camp Ederle a Vicenza, Camp Derby a Livorno, Napoli, Gaeta e soprattutto Sigonella in Sicilia (con la più densa concentrazione d’istallazioni a suo servizio d’Italia), sono infrastrutture attraverso cui il Governo Usa persegue la propria politica militare, da cui l’Italia è rigorosamente esclusa ed è pure chiamata a concorrere alle spese per il loro mantenimento, in termini di sgravi, esenzioni, fornitura di servizi, eccetera, nell’ordine complessivo di centinaia di milioni.

Muos, ultimo frutto di quella Liberazione

Se non è cessione di sovranità questa! È una catena che non conosce fine, a cui s’aggiunge un anello ogni volta che a Washington serve. L’ultimo frutto di quella Liberazione è il Muos. Per rinfrescare la memoria, si tratta di un nuovo sistema di comunicazione satellitare Uhf che copre l’intero globo, ad altissima frequenza e banda stretta, col quale il Pentagono s’accinge a rimpiazzare il vecchio sistema Uhf Follow–On. Per essere chiari, serve a mettere in comunicazione in tempo reale tutti gli assetti militari Usa (Usa, badate bene, non Nato, e ancora una volta a servizio della strategia Usa).

È una rete mondiale composta da quattro satelliti orbitali operativi (più uno di riserva) e quattro stazioni terrestri, che il Dipartimento della Difesa ha piazzato in Virginia; a Wahiawa, nelle Hawaii; a Kojarena, in Australia e a Niscemi in Sicilia, dove sono state realizzate le tre antenne circolari da 20 metri di diametro e le due torri radio alte 149 metri che la compongono. Malgrado le proteste dei comitati “No Muos”, l’infrastruttura è stata ormai ultimata in tutta tranquillità con buona pace di rassicurazioni, moratorie e imbarazzanti pantomime delle varie autorità locali.

Padroni a casa nostra

La realtà nuda e cruda è che uno Stato estero ha la sostanziale libertà di utilizzare il territorio italiano per i propri fini, non solo senza renderne conto (di condividere informazioni, procedure e politiche di sicurezza è semplicemente una bestemmia parlare. D’altronde, nel caso del Muos non avrebbe neppure senso, dato che è funzionale esclusivamente alle esigenze delle Forze Armate Usa) ma aggiungendo la beffa di chiamare lo Stato italiano a condividere le spese di mantenimento. Di timori per la sicurezza e la salute delle popolazioni chi se ne importa! Al massimo qualche blanda parola di rassicurazione, se proprio qualcuno fra i politicanti imbarazzati voglia spenderla.

Se solo ci fermassimo a riflettere su queste condizioni di sostanziale sudditanza, ci spiegheremmo quella del Muos come tante altre decisioni politiche ed economiche, scelte di campo, avvenimenti, che dalla fine della II^ Guerra Mondiale hanno caratterizzato e condizionato la nostra storia recente.

Per tornate all’anniversario con cui abbiamo aperto e concludere, quando festeggiamo la Liberazione, ricordiamo pure la cessione di sovranità che è venuta dopo e che subiamo ancora, ricordiamo la nostra sudditanza.

di Redazione

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