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Milizie curde ancora strumento degli Usa

di Salvo Ardizzone

Dinanzi alla prospettiva di una totale vittoria sul campo di Assad, sostenuto dall’Iran e dalla Russia, gli Usa hanno deciso di giocarsi il tutto per tutto affidandosi alle milizie curde per impadronirsi di Raqqa e segnare un importante punto politico che li mantenga in gioco nella partita mediorientale che s’avvia all’epilogo.

Dopo la serie di fallimenti collezionati nel tentativo di avere una propria pedina spendibile sullo scenario siriano (memorabili le milizie-farsa armate dal Pentagono con fiumi di denaro, che si dileguavano nello spazio d’un mattino), Washington è stata costretta a puntare sulle milizie curde malgrado le furiose proteste della Turchia. I curdi, blanditi da più parti e posti al centro del circo mediatico orchestrato per sovrastimare le loro azioni, stanno pensando di alzare il prezzo della propria collaborazione per approfittare al massimo della situazione.

È di pochi giorni fa la dichiarazione di Gharib Hasso, rappresentante del Pyd, resa all’agenzia russa Novosti, che Raqqa sarà di chi la libererà, parole che oltre a suscitare la gelida reazione di Damasco, buttano al vento le precedenti rassicurazioni date alle sedicenti “opposizioni” arabe manovrate dalla Turchia, e mandano in bestia Ankara, ferocemente ostile alla costituzione di un’entità curda ai suoi confini.

Tra l’altro, Raqqa e il suo territorio sono un’area a schiacciante maggioranza araba, in cui i curdi delle cosiddette Forze Democratiche Siriane (Fds) godono di ben poco seguito nella popolazione, se non di ostilità, e la pretesa di annetterla al Rojava curdo è un tentativo di puro espansionismo a scopo politico.

Gli Usa, però, che sono dietro l’operazione e di cui i curdi si fanno forti, hanno fretta di fare qualcosa di eclatante per rientrare nel teatro siriano, in cui sono divenuti irrilevanti.

La preparazione dell’operazione va avanti ormai da tempo: nei mesi scorsi è stata riattivata una vecchia pista d’atterraggio secondaria a Rmeilan, nell’estremo Nord-Est del Paese, nel territorio controllato dall’Ypg (le milizie curde); oltre ad essere al centro di un flusso continuo di aiuti, laggiù è stata costituita la base d’un contingente di Special Forces in continua crescita. Compito di quegli uomini è stato d’addestrare le milizie curde (il cui livello, malgrado il clamore dei media, è decisamente basso) e dirigerle contro l’Isis in crisi per le offensive dell’Esercito siriano e dei suoi alleati.

Adesso, consolidato l’avanposto di Ayn al-Issa, Washington ha stabilito d’avviare l’operazione per la conquista di Raqqa, superando gli ultimi 55 chilometri. A partecipare all’attacco sarebbero circa 20mila uomini delle cosiddette Fds, nella sostanza le milizie del Pyd inquadrate sotto un altro nome; con loro ci sono almeno 250 elementi delle Special Forces Usa, impegnati in prima linea nei combattimenti come consiglieri militari dei miliziani curdi, nella direzione dei raid dell’Air Force e come supporto diretto nei punti più critici.

L’offensiva è ancora all’inizio ma, malgrado il grande spiegamento di forze, il continuo appoggio aereo e il fatto che l’Isis sia ormai fiaccato dalle offensive di Damasco sostenute da Teheran e da Mosca, al momento non si registrano successi sostanziali. È da vedere, tuttavia, quale sarà la reazione non solo dei “ribelli” foraggiati da Ankara, ma della stessa Turchia che non accetterà mai il consolidarsi dei curdi ai suoi confini, meno che mai a spese delle milizie turcomanne che controlla.

D’altronde, a minare lo sforzo che le autorità del Rojava stanno conducendo per cogliere il successo sperato (e soprattutto i vantaggi promessi dagli Usa) è la crescente resistenza incontrata presso la stessa popolazione curda, sempre più contraria ad impegnarsi in battaglie lontane dai propri territori: i casi di arresti per renitenza alla leva si stanno moltiplicando a decine in un crescendo imprevisto per i vertici curdi.

In ogni caso, comunque vada la battaglia per Raqqa su cui tanto stanno puntando gli Usa, è assolutamente improbabile che Damasco (e Teheran, che sta fornendo sul campo un aiuto sempre più determinante), dopo anni di guerra durissima si fermi dinanzi ai curdi lasciando a loro un’area che è sempre stata araba, accettando insieme una secessione ed un’occupazione del proprio territorio.

Quello dei capi politici del Rojava è un gioco sporco quanto pericoloso, che pensa di sfruttare al massimo la situazione facendosi strumenti della politica Usa. Un gioco cinico che potrebbe avere pesanti conseguenze per il destino del Popolo curdo, che infatti è sempre più riluttante ad assecondare.

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