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Libano: obiettivo eliminare Resistenza palestinese e libanese

L’obiettivo principale della nuova campagna contro le armi in Libano non riguarda solo le fazioni della Resistenza palestinese nei campi, anzi, l’obiettivo principale sono le armi della Resistenza Islamica. Le armi delle fazioni palestinesi, la cui stessa esistenza si basa sulla prevenzione del ripetersi di massacri come quelli di Sabra e Shatila, perpetrato dalla milizia delle Forze libanesi in collaborazione con l’esercito israeliano il 16 settembre 1982, non sono altro che le armi necessarie per proteggersi dalle aggressioni israeliane. Rappresentano uno degli ostacoli principali a qualsiasi tentativo di porre fine alla questione palestinese attraverso l’istituzione di un reinsediamento.

Tornando a questa nuova campagna, possiamo vedere che essa non avviene indipendentemente dalle influenze regionali e dalla tutela americana, per proteggere i Paesi circostanti Israele. Si tratta piuttosto di una serie i cui inizi sono avvenuti in Giordania e si sono conclusi nei campi della diaspora palestinese in Siria (con l’arresto dei leader del Movimento del Jihad Islamico e del Fronte Popolare – Comando Generale). La fase più difficile si verifica in Libano, dove si trovano i campi palestinesi più grandi.

Visita di Mahmoud Abbas in Libano segna inizio della campagna

La recente visita in Libano del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, e il suo annuncio congiunto con il presidente libanese generale, Joseph Aoun, costituiscono il trampolino di lancio ufficiale per questa campagna.

Dopo l’incontro a Palazzo Baabda, i due presidenti hanno dichiarato il loro “impegno nei confronti del principio del possesso esclusivo delle armi da parte dello Stato libanese e della fine di qualsiasi manifestazione al di fuori della logica dello Stato libanese” e che “l’era delle armi al di fuori dell’autorità dello Stato libanese è finita, soprattutto perché i popoli libanese e palestinese hanno sopportato costi pesanti, enormi perdite e grandi sacrifici per decenni”.

I due presidenti, in particolare il presidente Abbas, ci parleranno dei costi che i governi arabi, in particolare l’Autorità Nazionale Palestinese, hanno dovuto sostenere a seguito della loro scelta di resa negoziata all’entità occupante israeliana, come lo sfollamento della popolazione della Cisgiordania e l’espansione degli insediamenti, o il consolidamento dell’occupazione israeliana delle alture del Golan occupate e l’espansione dell’occupazione in Siria a un’area superiore a 400 chilometri quadrati, o ancora i brutali crimini commessi nella Striscia di Gaza per più di un anno e mezzo?!

L’obiettivo della campagna nella dichiarazione di Geagea

In un contesto correlato, la dichiarazione del leader delle Forze Libanesi, Samir Geagea, ha rivelato chiaramente il vero obiettivo di questa campagna contro le armi della Resistenza palestinese, affermando: “Accolgo con favore la visita di Mahmoud Abbas, il primo presidente arabo a visitare il Libano nella nuova era, e lodo la posizione di quest’ultimo sulle armi. Chiedo al governo libanese, nella sua prima riunione, di stabilire un calendario chiaro, che non superi alcune settimane, per “raccogliere le armi palestinesi dentro e fuori i campi e assumersi la responsabilità della sicurezza dei campi, nonché della sicurezza delle regioni libanesi circostanti, in preparazione della raccolta di armi illegali in tutto il Libano e dello scioglimento delle organizzazioni militari illegali, affinché la nuova era possa iniziare come dovrebbe”.

La posizione del movimento palestinese unificato

La posizione del popolo palestinese residente nei campi palestinesi in Libano è stata espressa in una dichiarazione rilasciata dal “Movimento Palestinese Unificato”, in cui si afferma che “la questione delle armi palestinesi in Libano non è semplicemente una questione tecnica o militare, ma è legata al diritto al ritorno, alla dignità del popolo palestinese, al suo diritto alla protezione e all’esistenza politica e sociale di una società che continua a essere privata dei suoi più basilari diritti umani e civili”.

Nella dichiarazione si afferma che “qualsiasi tentativo di affrontare questa questione al di fuori del quadro del consenso nazionale e del dialogo globale porterà solo a ulteriori tensioni ed emarginazioni, e viene respinto nella forma e nella sostanza”. Rifiutando qualsiasi intenzione del Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, di consegnare armi allo Stato libanese “senza alcuna previa consultazione o coordinamento con le fazioni e le forze palestinesi o i rappresentanti del popolo palestinese in Libano”, ha sottolineato il suo “totale rifiuto di qualsiasi dichiarazione o azione unilaterale riguardante le armi dei campi senza la partecipazione delle fazioni e delle forze palestinesi attive sul terreno”.

Invitando il governo libanese ad “aprire un dialogo diretto e globale con le forze palestinesi in Libano, per elaborare un piano congiunto che affronti la situazione generale nei campi palestinesi, compresa la questione delle armi, entro standard che preservino la sicurezza e non violino i diritti dei rifugiati”, chiedendo al contempo “una posizione palestinese unitaria in Libano e la formazione di un’autorità unitaria che rappresenti il ​​nostro popolo politicamente, socialmente e in termini di sicurezza di fronte allo Stato libanese e a qualsiasi parte esterna”.

Preservare sovranità del Libano e garantire interessi del popolo palestinese

Lo ha espresso anche il rappresentante di Hamas in Libano, Ahmed Abdel Hadi, il quale ha rivelato che il movimento non ha ricevuto alcuna richiesta ufficiale dallo Stato libanese in merito alle armi delle fazioni della Resistenza nei campi. Ha osservato che “qualsiasi posizione su questa questione sarà globale a livello palestinese, preserverà la sovranità e gli interessi del Libano e terrà conto degli interessi del popolo palestinese”. Abdul Hadi ha sottolineato che “esiste un dialogo palestinese all’interno del Libano, che mira a costruire una visione unitaria che affronti diverse questioni, dalla sicurezza e stabilità nei campi ai diritti umani e sociali”.

di Redazione

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