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Libano, lotta tra sovranità e controllo straniero

Dopo oltre due anni di paralisi politica, la Repubblica del Libano ha finalmente eletto il suo 14° presidente, l’ex comandante delle Forze armate libanesi Joseph Aoun. Tuttavia, questa vittoria non è stata per il popolo libanese, ma il risultato delle pressioni internazionali, in particolare di Stati Uniti, Arabia Saudita e Francia. 

Il Libano è forse l’unico Paese in cui un presidente viene eletto senza effettivamente candidarsi. Qui, i candidati alla presidenza non sono tenuti a presentare programmi elettorali o ad articolare una visione economica, sociale o politica. 

A partire dall’epoca ottomana, passando per il mandato francese, durante la presenza siriana e ora sotto l’influenza degli inviati occidentali e arabi, la presidenza del Paese è stata spesso decisa da potenze esterne piuttosto che dal suo popolo.

Il processo è un netto paradosso: mentre la sovranità libanese, o la sua mancanza, è un argomento frequente nel dibattito pubblico, l’esito delle elezioni presidenziali è dettato dagli ambasciatori stranieri, siano essi americani, francesi, sauditi o qatarioti, sullo sfondo delle accuse di sottomissione di Beirut all’Iran. 

Minacciando sanzioni, blocchi e ritardi nella ricostruzione, questi inviati impongono candidati senza lasciare spazio al dibattito, riducendo il processo democratico del Libano a poco più di un teatrino.

Come ha dichiarato una volta Nabih Berri, storico presidente del Parlamento libanese, forse sarebbe più semplice lasciare che gli ambasciatori occupino i posti dei parlamentari, poiché sono loro a decidere realmente chi sarà il presidente. 

Libano, il ruolo delle potenze straniere

È significativo che l’agenzia di stampa nazionale libanese (Nna) abbia riferito che “la sessione parlamentare dedicata all’elezione del 14° presidente della Repubblica, sia avvenuta alla presenza dell’inviato francese Jean-Yves Le Drian, dell’inviato saudita Yazid bin Farhan, degli ambasciatori del comitato Quint e di un gruppo di diplomatici”.

Durante ogni ciclo di elezioni presidenziali, l’attenzione non è rivolta a chi vuole il popolo libanese, ma a quale candidato sostiene l’Arabia Saudita, chi sostiene il Qatar e quale contendente si allinea agli interessi degli Stati Uniti e della Francia.

Nel 1989, Elias Hrawi fu eletto presidente del Libano in seguito all’accordo di Taif, mediato da Siria, Arabia Saudita e Stati Uniti per porre fine alla guerra civile libanese. L’accordo non solo elesse un nuovo presidente, ma consolidò anche l’influenza delle potenze straniere nel sistema politico libanese.

Quasi un decennio dopo, nel 1998, l’ex comandante dell’esercito libanese, il generale Emile Lahoud, fu eletto presidente con il sostegno esplicito della Siria. Il suo mandato fu esteso nel 2004 per altri tre anni, sempre con la benedizione di Damasco. Questa estensione esemplificava la profonda influenza degli interessi siriani negli affari politici del Libano durante quell’epoca.

Nel 2008, le parti libanesi hanno raggiunto un accordo noto come Accordo di Doha, che ha posto fine a un punto morto politico durato 18 mesi. Sotto gli auspici arabi, questo accordo ha portato all’elezione a presidente di un altro comandante dell’esercito, il generale Michel Suleiman. Mentre questo ha segnato una risoluzione temporanea al conflitto interno del Libano, ha anche evidenziato il ruolo persistente della mediazione esterna nel determinare la leadership del Paese.

Il teatrino dei candidati 

Quest’anno, la gara non è stata diversa. Sebbene una manciata di personaggi libanesi, come l’ex ministro Ziad Baroud e il parlamentare Neemat Frem, abbiano annunciato le loro candidature, i loro sforzi sono stati vani senza il sostegno internazionale. 

Altri nomi, tra cui il comandante dell’esercito generale Joseph Aoun, l’ex ministro delle Finanze Jihad Azour e il direttore della sicurezza generale, generale Elias al-Bisri, hanno guadagnato popolarità soprattutto grazie al sostegno straniero. 

Tra questi personaggi, spicca il generale Joseph Aoun. Godendo dell’approvazione degli Stati Uniti, dell’Arabia Saudita e della Francia, nonostante la mancanza di un ampio sostegno locale, Aoun è stato eletto come nuovo presidente del Libano, ponendo fine a un vuoto presidenziale e a una situazione di stallo politico durati più di due anni. Ironicamente, la sua candidatura, che richiedeva emendamenti costituzionali, è stata osteggiata dalle principali forze politiche cristiane, tra cui le Forze Libanesi guidate da Samir Geagea, il Movimento Patriottico Libero e il Movimento Marada, il cui leader Suleiman Frangieh è uno stretto alleato di Hezbollah. Tuttavia, la pressione esterna ha costretto molti di questi gruppi ad allinearsi, esponendo ancora una volta la vacuità della sovranità del Libano.

L’ironia sta nel fatto che il candidato internazionale arabo alla presidenza del Libano, che è la carica cristiana più alta del Paese, non gode del sostegno delle forze politiche cristiane del Paese.

Libano e il prezzo della sovranità 

Il coinvolgimento di inviati stranieri come Jassim Al-Thani del Qatar e Yazid bin Farhan dell’Arabia Saudita dimostra quanto i funzionari arabi siano più noti tra il pubblico libanese di molti parlamentari stessi. L’inviato di Riyadh, ad esempio, ha dichiarato esplicitamente che la ricostruzione e la stabilità economica del Libano dipendono dall’elezione del loro candidato preferito. 

Questa interferenza non è solo politica ma anche finanziaria. I resoconti suggeriscono che ai parlamentari sono state offerte ingenti somme per assicurarsi i loro voti, come riportato dal giornalista libanese Hassan Illaik su X. I prezzi per un singolo voto avrebbero raggiunto i 300mila $, pagabili a rate. Tali transazioni servono solo a dimostrare fino a che punto la presidenza sia diventata una merce in un mercato dominato da acquirenti stranieri.

Per i cittadini libanesi comuni, la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Mentre politici e inviati stranieri contrattavano sulla presidenza, il Paese rimane in uno stato di collasso. Oltre il 70% della popolazione sta vivendo una povertà multidimensionale e miliardi di dollari in depositi bancari sono evaporati. 

L’illusione della democrazia 

Nell’arena politica libanese odierna, il duo sciita – Hezbollah e il Movimento Amal – che rappresenta una parte fondamentale dell’Asse della Resistenza, ha incentrato i suoi negoziati sulla presidenza della Repubblica. Questa leva critica è volta a garantire guadagni che potrebbero mitigare l’impatto della guerra israeliana, che ha causato una significativa distruzione nella Beka’a, nel Libano meridionale e nei sobborghi meridionali di Beirut. Le richieste del duo sciita includono garanzie per la ricostruzione, la nomina del prossimo comandante dell’esercito e un impegno per la stabilità economica a lungo termine.

Nel primo turno delle elezioni presidenziali, Hezbollah e il Movimento Amal hanno deciso di esprimere schede bianche, ritardando di fatto l’elezione di un presidente. Questa mossa è stata un messaggio deliberato: nessun presidente può essere eletto senza la loro approvazione.

Dopo le negoziazioni, le parti hanno ricevuto rassicurazioni dal comandante dell’esercito Joseph Aoun e dagli inviati sauditi, statunitensi e francesi in merito alle loro richieste chiave. Nel secondo turno di votazioni, il duo ha votato per Aoun, che è stato eletto presidente.

Le schede bianche al primo turno sono servite come dimostrazione strategica della loro influenza, affermando il loro potere di veto sulle elezioni presidenziali. Nonostante la forte pressione degli inviati internazionali, che hanno cercato di imporre il loro candidato preferito, i negoziati con il duo sciita sono continuati. Nel corso di quattro sessioni con il consigliere saudita Yazid bin Farhan, tra cui un incontro finale con il deputato di Hezbollah Ali Hassan Khalil, sono stati raggiunti accordi appena due ore prima del secondo turno della sessione parlamentare.

Il peso specifico di Hezbollah e Amal

In definitiva, Hezbollah e Amal hanno dettato l’esito delle elezioni presidenziali. Il Ministero delle Finanze resta sotto il loro controllo e l’Arabia Saudita si è impegnata negli sforzi di ricostruzione con solide garanzie.

Per i cittadini libanesi, le elezioni sono un doloroso promemoria del fatto che la loro democrazia è poco più di una facciata, manipolata da potenze straniere le cui priorità raramente coincidono con le esigenze del Paese. 

Finché il Libano non riuscirà a riappropriarsi dei propri processi decisionali e a dare priorità al benessere del suo popolo rispetto alle pressioni esterne, la sua presidenza rimarrà una pedina in un gioco molto più ampio di potere politico internazionale.

di Redazione

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