Balcani e la nuova Via della Seta
I Balcani sono a tutt’oggi una regione depressa; i Paesi dell’area sono alla disperata ricerca d’investimenti stranieri che risollevino le economie, diano lavoro a folle di disoccupati e migliorino le infrastrutture, inesistenti o comunque disastrate. Da diversi anni, i Paesi dei Balcani tentano di entrare nella Ue (alcuni ci sono riusciti) e di allacciare rapporti con la Russia per attirare capitali, ma la crisi ne ha inaridito i flussi e sconvolto aspettative e programmi.
In questi anni, l’Unione ha mostrato il suo volto di matrigna egoista, occupata com’è nelle sue beghe e dominata da logiche mercantili imposte da Berlino e dagli stati del Nord. L’esempio più lampante è la Grecia: andata in crisi per una gestione dissennata della cosa pubblica, è stata costretta ad adottare politiche suicide che hanno determinato un’autentica emergenza umanitaria, la distruzione dell’economia e l’esplosione del debito pubblico.
L’unico Paese che avrebbe i capitali per investire è la Germania, ma la sua miope concezione economica, basata essenzialmente sull’esportazione e priva di visione politica, trascura mercati che giudica insignificanti per le sue merci e vi investe solo marginalmente.
Investimenti russi nei Balcani
La Russia, dal canto suo, alcuni investimenti importanti li ha realizzati, soprattutto nel campo energetico, e altri aveva in programma d’intraprendere in un’area a lei tradizionalmente vicina, ma la crisi orchestrata da Washington e da Riyadh che l’attanaglia, col rublo svalutato, le rendite energetiche falcidiate dal crollo del petrolio e le sanzioni che mordono, l’hanno costretta a fermarsi.
C’è però un altro Paese che negli ultimi anni s’è fatto avanti e che, prima d’ogni cosa, ha i capitali che mancano in quell’area: la Cina. Nel meeting tenutosi anni fa a Belgrado, fra il premier Li Keqiang e sedici leader della regione, Pechino ha promesso investimenti per 10 Mld di $ per lo sviluppo; e non è una sortita improvvisa: nel 2014, il suo interscambio commerciale con i Balcani ha raggiunto i 50 Mld.
Balcani ponte verso Ue
L’interesse cinese va oltre il peso di quei mercati, considerati trascurabili, o delle risorse naturali, di cui comunque quei Paesi sono ricchi. La Cina guarda a loro per assicurarsi un migliore accesso alla Ue. Da anni ormai Pechino ha un progetto strategico: la Nuova Via della Seta, un insieme di infrastrutture portuali, viarie e ferroviarie che assicurino un massiccio flusso di merci dai propri confini all’Europa, riducendone drasticamente i tempi di percorrenza.
Per questo, si è concentrata da tempo su due assi d’investimenti: energia e soprattutto porti, autostrade e ferrovie. Ha iniziato nel 2009 acquistando il 50% dei diritti commerciali del Pireo ed è in trattative per quello di Salonicco e Igoumenitsa, mentre ci sono contatti con la Slovenia (per il porto di Koper) e l’Albania (per costruirne uno a Shenjin). E poi, in tutti i Balcani meridionali si moltiplicano gli investimenti in infrastrutture, come quello per la linea ferroviaria ad alta velocità fra Belgrado e Bucarest, o l’autostrada fra il porto di Bar (nel Montenegro) e la capitale serba, che è vista sempre di più come fulcro strategico dell’espansione cinese. Anche nel settore dell’energia Pechino ha fatto affluire capitali per la costruzione di numerose centrali in Serbia, in Bosnia Erzegovina, in Montenegro ed altre ne progetta.
La strategia cinese
In questo modo Pechino crea strutture funzionali ai propri progetti e su cui ha il pieno controllo, consolidando le proprie posizioni in un’area strategica e legando a sé Governi, alcuni già nella Ue, i più con buone prospettive di entrarvi.
Ovviamente, ciò non avviene a costo zero per le popolazioni: a parte il fatto che i lavori sono sistematicamente appaltati a ditte cinesi (che fanno così rientrare i capitali), con la gran parte della mano d’opera fatta venire dalla madre patria, soprattutto quella specializzata, le legislazioni in tema di tutela dell’ambiente e del lavoro (di norma già assai permissive) vengono sistematicamente piegate agli interessi del Dragone, spesso fino a livelli incredibili, come a Stanari, in Bosnia.
Per la gente di quei Paesi restano i lavori più umili e meno retribuiti, svolti in condizioni indecenti, e una devastazione ambientale di cui nessuno si occupa, sepolta sotto un fiume di denaro.
È il risultato assurdo della cecità dei burocrati di Bruxelles e della gretta miopia egoista dei Governi europei, quelli più ricchi, che calcolano tutto in termini di utile immediato, salvo strillare poi quando le loro misere fortezze cadranno inondate da merci cinesi, strozzate da una rete di infrastrutture controllate da Pechino e affamate dal controllo delle materie prime esercitato dal Dragone fin sulle porte delle loro case.
di Salvo Ardizzone