L’Egitto sull’orlo del baratro
La violenza inaudita del mercoledì nero sembra non cessare: la guerriglia coinvolge tutte le più importanti città, il bilancio delle vittime e dei feriti vanta numeri da guerra civile. Mentre il Consiglio di Sicurezza dell’Onu si riunisce per discutere la situazione di crisi nel Paese, Tamarod ha indetto per oggi manifestazioni per contrastare i Fratelli Musulmani, i quali scenderanno in piazza per il “giorno della collera”.
Lo stato d’emergenza, dichiarato dal governo, e le dichiarazioni odierne sono un chiaro indice delle misure ancora più drastiche che potrebbero essere adottate per ristabilire l’ordine nel Paese, misure a cui si era opposto fino alle sue dimissioni il vicepresidente ad interim, nonché Nobel per la pace, Mohammed El Baradei. Misure che lasciano presagire il ritorno ai giorni più bui dell’Egitto.
Adesso, dopo il golpe militare in cui è stato deposto il primo presidente democraticamente eletto, Mohammed Morsi, e l’ondata di violenza che ha tragicamente coinvolto il Paese, ogni speranza di transizione democratica sembra tramontare. E’ necessario chiedersi, se quell’elezione democratica del 2012 non abbia portato ad una dittatura della maggioranza, in cui il ruolo dell’esercito abbia irreversibilmente influenzato le sorti del Paese più popoloso del mondo arabo. E inoltre, se l’odierno governo militare non intenda distruggere i Fratelli Musulmani, cioè adottare misure peggiori di quelle degli anni di Mubarak, periodo in cui, seppur in un clima di illegalità e repressione, essi erano considerati la più grande forza politica di opposizione.
Seppur la comunità internazionale abbia condannato tale inaudita violenza, in questo contesto di divisioni interne, pesanti problemi economici e instabilità, gli interessi dei potenti attori internazionali che influenzano il Paese continuerebbero ad essere soddisfatti. Non si possono non immaginare ulteriori involuzioni.