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L’Egitto sprofonda nel caos e nella violenza

di Mauro Indelicato

Anche se nei media di tutto il mondo le notizie provenienti dal Cairo sono passate in secondo piano, in Egitto la situazione resta molto critica. I militari tentano di dare una parvenza di normalità al paese; infatti, il governo è stato quasi del tutto completato, i ministeri sono tornati a funzionare, gli uffici sono stati riaperti e la capitale egiziana tenta di tornare ad una semplice quotidianità. Ma di fatto l’Egitto rischia la guerra civile; aver dato al paese un nuovo governo che promette elezioni e breve termine, non è servito per placare gli animi dei Fratelli Musulmani e dei sostenitori del deposto presidente Morsi, il quale si trova ancora in una località segreta, anche se assicurano circa le sue buone condizioni psicologiche e di salute.

La novità di queste ore, è che tra i sostenitori di Morsi ci sono adesso membri non appartenenti al partito dei Fratelli Musulmani; in particolare, molti ragazzi, infastiditi del nome di El Baradei come futuro ago della bilancia della politica egiziana, nonché sospettosi che dietro la sua figura si celi la presenza degli Usa, sono scesi in piazza per chiedere il ripristino di un governo democraticamente eletto. E al Cairo la battaglia continua; in diversi punti della città, nonostante le barriere di filo spinato dell’esercito, i due volti dell’Egitto si danno battaglia a colpi di molotov e pietre: da un lato i sostenitori del colpo di stato, dall’altro la fratellanza musulmana. I due gruppi, vengono a contatto spesso e volentieri nelle cosiddette “battaglie dei ponti”, vale a dire nella contesa di una delle arterie sopra il fiume Nilo che porta a piazza Tarhir, il luogo simbolo delle rivolte che stanno sconvolgendo il paese.

Ma se al Cairo la situazione è delicata per via della guerriglia urbana, non va certamente meglio nel Sinai, dove da giorni diverse cellule fondamentaliste seminano il panico; ad essere attaccate, sono spesso anche le Chiese copte, mentre il governo fatica a mantenere l’ordine, come dimostrano i diversi agguati tesi a diverse caserme militari, che dall’inizio della crisi hanno fatto una ventina di morti tra soldati e poliziotti. Drammatica infine, la situazione a Rafah, al confine con la Striscia di Gaza; il valico, uno dei pochi che permettono la sopravvivenza ai palestinesi di questa zona, è chiuso da giorni per il timore che fondamentalisti possano infiltrarsi nel Sinai ed in molti tentato di oltrepassarlo al fine di arrivare nella parte egiziana per lavoro o, spesso, anche per comprare acqua e cibo.

Situazione quindi delicata in tutto l’Egitto, mentre ancora in molti si chiedono di chi sia la paternità delle proteste che hanno contribuito a rovesciare Morsi: se davvero il tutto sia frutto della volontà del popolo egiziano o se dietro non si nasconda invece la mano piena di dollari degli Usa.

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