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Le vere cause della crisi in Nigeria

di Salvo Ardizzone

L’elezione di Buhari alla presidenza della Nigeria, è stata accolta nel Paese e nel mondo come un passo verso la stabilizzazione del più popoloso Stato africano. Il successo gli è stato assicurato da un programma di lotta alla corruzione e alle milizie di Boko Haram, ma ora il nuovo Presidente si trova prigioniero delle vere cause che stanno distruggendo il Paese.

L’attenzione dei media internazionali è focalizzata sulla setta sanguinaria, che è vista come il primo dei problemi della Nigeria, ma è un clamoroso errore di lettura della situazione: il Nord-Est in fiamme è solo una conseguenza, non la causa della crisi dello Stato. Le radici del vero problema sono al Sud, nel Delta del Niger, nei pozzi di petrolio e gas da cui provengono oltre l’80% delle risorse e che fanno del Paese il primo produttore africano e il 12° mondiale, ed alimentano una corruzione ed una criminalità che hanno corroso lo Stato dalle fondamenta.

I profitti di questo fiume di dollari, elargito da Major senza scrupoli, hanno arricchito solo governanti della Capitale, potentati locali, bande criminali che controllano il territorio e trafficanti vari, mentre il Delta, devastato irrimediabilmente dalle attività estrattive incontrollate, è rimasto una delle regioni più povere del pianeta, dove sopravvivere è una scommessa quotidiana col destino.

Alla fine degli anni ’90 erano sorti diversi movimenti che chiedevano una più equa distribuzione delle risorse, ma presto, molto presto, si sono trasformati in bande criminali dedite al furto e al contrabbando di petrolio, ai rapimenti e al taglieggiamento della Major a cui concedevano “protezione”.

Il potere di questi gruppi criminali è cresciuto saldandosi a quello dei politici locali, a cui assicuravano l’eliminazione degli avversari e la vittoria elettorale grazie al potere d’intimidazione. Infine, attaccando gli impianti e il personale delle compagnie estrattive, hanno costretto il Governo centrale a venire a patti sotto la spinta delle multinazionali che vedevano ridotti i loro profitti. Con la nascita del Mend (Movimento per l’Emancipazione del Niger Delta), una sorta di “cartello” che ha riunito le bande, il loro potere è aumentato ancora fino a che, nel 2009, s’è giunti a un’amnistia per i miliziani e a un accordo che ha coperto di dollari i loro capi, integrandoli nel sistema di potere nigeriano.

Figure come Tompolo, Asari Dukobo e Tom Akele, da capobanda sanguinari sono divenuti uomini politici e imprenditori, legati a doppio filo al Governo che li sovvenziona, liberi di continuare il loro business fatto di furto e contrabbando di petrolio, rapimenti e “protezione” degli impianti estrattivi, con la piena copertura delle autorità (polizia, politici locali e centrali) con cui dividono i proventi dei loro traffici condotti alla luce del sole.

Per fare un esempio, Tompolo ha acquistato sette navi da guerra norvegesi classe Knm Horten, grazie al pieno appoggio del Governo; ufficialmente servono alla sua compagnia di sicurezza navale contro la pirateria, peccato che Tompolo sia il principale regista della pirateria nel Golfo di Guinea.

Anche i tanto sbandierati programmi di disarmo, smobilitazione e reintegrazione, non solo non hanno tolto di mezzo le armi (anzi, le hanno semmai sostituite con altre moderne grazie ai 1.800 dollari elargiti per ogni ferro vecchio consegnato), ma non hanno neppure smobilitato le bande, passate di fatto negli eserciti privati degli ex capi, con tanto di lauta sovvenzione dello Stato. Inoltre, sono in diecine di migliaia i miliziani che, altrettanto pericolosi degli altri ma meno legati ai capi, non sono stati inseriti nei programmi, divenendo un naturale bacino d’arruolamento per nuove bande criminali.

In un’area poverissima e senza alternative, masse di giovani hanno imparato che il crimine paga e nascono sempre nuovi gruppi decisi a scalzare i vecchi leader, per partecipare al saccheggio delle risorse del Delta.

È questa giungla criminale, intrecciata indissolubilmente con i poteri locali e centrali, che Buhari dovrà affrontare; i suoi predecessori hanno pagato il favore delle bande e il loro appoggio, abbandonando nelle loro mani la parte più ricca del Paese. Per il nuovo Presidente sarà difficile continuare a “comprare” un simulacro di pace, e per almeno tre ragioni: intanto per le sbandierate promesse di cambiamento; in secondo luogo, per il crollo dei prezzi di petrolio e gas, che riducono gli introiti dello Stato; infine, perché un Presidente musulmano dovrà muoversi con la massima prudenza nel Sud cristiano, dove i Governi locali hanno tutto da guadagnare a mantenere uno status quo che garantisce loro somme stratosferiche, e sono pronti a tutto con la scusa di una cospirazione delle elites del Nord musulmano contro di essi.

I segnali di nervosismo ci sono già tutti: dichiarazioni infuocate dei vecchi capi dei miliziani che ora controllano i ricchi Stati del Sud, la ripresa di attacchi ad oleodotti e rapimenti di tecnici come pressioni sulle multinazionali e messaggi al Governo centrale, l’uccisione di diversi rappresentanti del partito del nuovo Presidente, l’Apc. Sono tutti in attesa delle mosse di Buhari, che deve fare la sua scelta.

Malgrado quanto raccontato dai media occidentali, che hanno pompato il fenomeno a dismisura, sconfiggere Boko Haram, alcune migliaia di miliziani che per la loro ottusa ferocia hanno perso buona parte dell’appoggio popolare, non è una missione proibitiva, come s’è visto di recente, grazie alla collaborazione di Ciad, Niger e Camerun. La sfida vera, su cui si gioca la sopravvivenza della Nigeria, è riportare la legalità, ripulire apparato statale ed Esercito dalla corruzione sistematica, riprendere interi Stati, peraltro quelli più ricchi di risorse naturali, alle bande che li controllano dall’interno delle istituzioni.

Farlo significa dichiarare guerra a sistemi ormai radicati e ricchi, smantellare un’economia criminale che può contare su decine di migliaia di criminali disposti a tutto e su un bacino potenziale immenso di disperati che non hanno nulla da perdere, pronti a mettersi al soldo di vecchi e nuovi Signori della Guerra. Insomma, significa destabilizzare dalle fondamenta la Nigeria, scatenando una guerra dall’esito incerto con alleanze e mezzi inadeguati.

Non farlo, significa condannare il Paese al collasso ed alla disgregazione, corroso da corruzione e criminalità senza controllo; da multinazionali libere di comprare ogni cosa, salvo abbandonare lo Stato al suo destino quando non sarà più conveniente; da una violenza settaria pronta a esplodere, che disintegrerebbe la Nazione in nome di bugiarde motivazioni che nascondono solo gli interessi di pochi gruppi sempre più avidi.

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