Cronaca

Le ombre inquietanti dietro la morte di Salvatore Failla e Fausto Piano

di Adelaide Conti

Di certo Fausto Piano e Salvatore Failla non pensavano di trovare la morte in quel Paese che gli dava lavoro. E così si erano spostati in Libia per conto della società di costruzioni “Bonatti”. Ma un evento drammatico ha cambiato il corso della loro vita. Era il luglio dello scorso anno quando Failla e Piano, insieme ad altri due due loro connazionali, vennero fatti prigionieri dai miliziani dello Stato Islamico. Quasi otto mesi lontani dai loro cari e nelle mani dei loro aguzzini. L’altro ieri il drammatico epilogo. Sarebbero stati colpiti durante un conflitto a fuoco fra forze di sicurezza e un gruppo di miliziani dell’Isis a Sabratha, zona sotto attacco dei raid Usa nei giorni scorsi. Le prime ricostruzioni riferiscono di un convoglio che trasportava i due tecnici preso di mira da forze di sicurezza libiche. Ma la versione non è stata ancora confermata e da Sabratha c’è chi sostiene come i due siano stati uccisi per mano dell’Isis prima del Raid o che potrebbero essere stati scambiati per jihadisti. Nel conflitto sarebbero morti anche sette miliziani islamici e una donna.

Per i familiari delle due vittime un grande dolore. A Capoterra, paese d’origine di Fausto Piano c’è incredulità: “Pensavamo che finisse bene come per tanti altri ostaggi”. A parlare è un compaesano e vicino di casa di Piano. In questo paesino di 25 mila abitanti alle porte di Cagliari la comunità si era fin da subito mobilitata organizzando una fiaccolata notturna il 31 luglio scorso.
Dolore e commozione anche in Sicilia. La signora Lo Castro, moglie di Salvatore Failla, dal giorno del rapimento di suo marito si era trincerata dietro il silenzio, attendendo unicamente comunicazioni dal nostro ministero degli Esteri. Il Parroco di Carlentini, il paese d’origine di Salvatore, ricorda come la sua comunità “da otto mesi vive nella preghiera” e aggiunge: “Come la moglie ha voluto fin da subito, è il silenzio il modo che abbiamo scelto per stare vicino alla famiglia, senza nessun clamore”.
Oggi il clamore è inevitabile. La morte crea clamore. Ancor più se c’è il sospetto che dietro questa drammatica vicenda si possa celare un’altra realtà. Che si tratti di un’atroce vendetta contro il nostro intervento in Libia?

A distanza di due giorni l’Italia piange i suoi connazionali (e gioisce per la liberazione degli altri due ostaggi Gino Pollicardo e Filippo Calcagno) e si interroga sul perché due lavoratori, padri di famiglia, debbano trovare la morte in un Paese che li avrebbe dovuti ospitare senza alcun rischio. Ma il Paese in questione è la Libia; lì da quattro anni tutto si è lasciato scivolare al caos. Milizie locali che combattono l’avanzata dell’Isis in un Paese che deve fare i conti anche con una crisi economica dettata dal basso prezzo del petrolio. A Tripoli e Tobruk regna l’anarchia e in uno scenario tanto confuso, le milizie guadagnano sempre più terreno. Una situazione fuori controllo che si è incancrenita rendendo la Libia uno specchio a frantumi. Difficile immaginare che l’Europa insieme all’America possano tenere fermo il principio di portare a casa il governo libico. Oggi, per molti, l’idea che possa presto formarsi un governo stabile si allontana per lasciare il posto al timore di una guerra che potrebbe avere conseguenze inimmaginabili.

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