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Le nuove avventure del Renzi “piglia tutto”

di Salvo Ardizzone

Giovedì scorso, il 2 aprile, Graziano Delrio ha giurato dinanzi a Sergio Mattarella come ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti; Renzi l’aveva comunicato giusto poco prima a un Consiglio dei Ministri ormai divenuto un ectoplasma chiamato a eseguire i suoi desideri.

Il giorno dopo, il neo Ministro ha detto chiaro che il Presidente del Consiglio vuole accentrare in un unico “coordinamento” (leggi controllo stretto e completo potere decisionale), presso il Ministero, anche le unità di missione delle scuole e del dissesto idrogeologico, oltre a mantenere quella delle grandi opere; inoltre ha annunciato interventi per evitare “sovrapposizioni” (leggi possibili ingerenze) del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici. Inutile ricordare che a capo delle unità per la scuola e il rischio idrogeologico ci sono fedelissimi del Premier e a sostituire Incalza alle grandi opere ne arriverà un altro.

In poche parole, Renzi, cogliendo al volo l’occasione col solito cinismo, ha fatto fuori Lupi (un peso piuma d’accordo, ma che occupava una casella troppo importante) e s’è sbarazzato di Incalza (quello ingombrante, si, ma che ha pensato la magistratura a eliminare), mettendo il cappello su tutti i centri decisionali che regolano gli appalti e i lavori pubblici in Italia, realizzando così una concentrazione di potere che non s’era mai vista, neanche ai tempi della famigerata Prima Repubblica.

Quando è arrivato a capo della Segreteria del Pd, un partito autoreferenziale, zeppo di generali senza truppa e senza strategia, occupato solo in miserabili giochi di poltrone, erano in tanti a profetizzare al nuovo venuto, estraneo alle estenuanti liturgie di partito e con gruppi parlamentari che allora lo snobbavano, un’ingloriosa e rapida caduta.

Da allora (e sono passati meno di sedici mesi), ha asfaltato Enrico Letta, un Presidente del Consiglio dello stesso Pd, e a seguire ha letteralmente sbriciolato ogni opposizione, ridicolizzando vecchi leader che pensavano di mantenere all’infinito i privilegi di un’usurpata rendita di posizione.

Il fatto è che Renzi s’era reso conto da tempo che il Pd era solo un guscio vuoto, privo di contenuti e di riferimenti seri, senza nulla che l’ancorasse a valori condivisi, a battaglie; era una struttura “scalabile”, che poteva essere condotta su qualunque posizione, dal progressismo buonista al liberismo spinto, un trampolino ideale per il potere, che è l’unica cosa che gli interessi.

Certo, il “lavoro” gli è stato reso semplice dal disastroso livello di una classe politica selezionata al peggio, pronta a saltare sul carro del vincitore del momento, barattando se stessa per il classico piatto di lenticchie. Lo spettacolo dato dagli oppositori interni varia fra il patetico e il grottesco: un gruppo, un tempo maggioritario e blasonato, che si sfalda progressivamente ad ogni schiaffo sonoro ma rimane comunque abbarbicato alle poltrone, rinviando a mai la battaglia decisiva che, beninteso, è sempre la successiva.

Né le opposizioni esterne sono migliori, anzi: c’è una Destra spappolata, che da un lato rincorre il peggiore populismo, con il programma politico scritto sulle felpe, e dall’altro vaga fra le macerie del berlusconismo, terrorizzata di perdere la poltrona; ma a Sinistra è anche peggio, con micro formazioni imbambolate, senza un progetto serio che sia uno. E poi ci sono i 5 Stelle, bravissimi essenzialmente a isolarsi, assolutamente funzionali per consegnare all’inutilità milioni di voti di italiani esasperati, e garantire così la stabilità di un sistema che non deve cambiare.

Con avversari simili il Premier va sul velluto: quando si trovò alla Presidenza del Consiglio era praticamente senza squadra, senza i manovratori capaci di dirigere tutte le leve di cui s’impadroniva; adesso, fiutato il vento, sono a frotte quelli che si mettono a sua disposizione. Ancora poco e costituirà un sistema di potere al cui confronto il quarantennio democristiano potrà impallidire.

I “poteri forti” brindano per il nuovo stabile interlocutore con cui accordarsi; gli elettori ringrazino per questo i fantasmi a cui hanno dato il voto.

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