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Le donne saudite si mettono alla guida e sfidano il regime

di Cristina Amoroso

Nel regno di Abdullah, dove la donna è considerata proprietà dell’uomo, che sia il padre o il marito, le donne non possono viaggiare da sole, studiare all’estero, sposarsi o divorziare senza il permesso di un uomo. Ma vogliono guidare. Alle donne dell’Arabia Saudita è vietato anche il movimento, perché da tanti anni un divieto impedisce loro di mettersi alla guida di qualsiasi mezzo, pur non essendo sancito dalla legge.

Ora e’ iniziata una nuova campagna per le saudite che si sono date appuntamento il 26 ottobre 2013 per rimuovere questo divieto discriminatorio. È l’ennesima battaglia: dal 1990 ad oggi molte campagne si sono fatte sul tema. Ma nulla è cambiato. Nel 1990, 47 donne si misero alla guida della loro vettura a Riad ma furono arrestate e severamente punite. A farsi paladine della libertà negata furono poi diverse attiviste insieme alla principessa Amira al-Tawil, moglie del principe Al Walid Bin Talal che, nel 2009, dichiarò ai giornali: “Ho una patente internazionale e guido la macchina quando viaggio. Sono pronta a guidare anche nel Regno saudita quando sarà permesso”. Fu, però, nel 2011 che partì una vera e propria campagna mediatica “Women2drivecampaign” che ebbe molto successo sui social. Ma meno nella vita reale: finita in arresti, l’iniziativa portò a una condanna a 10 frustate per l’attivista Shaima Jastania, che poi fu graziata da re Abdullah.

“Fino a che non ci sarà una chiara giustificazione a questo divieto, noi chiediamo che le donne possano essere sottoposte a un test di guida e che, una volta superato, possa essere data loro la licenza. L’unico criterio preso in considerazione deve essere la capacità, non il sesso”, si legge sul sito della campagna. Recentemente, sottolinea il sito della televisione panaraba Al Arabiya, sono state raccolte 15.000 firme a sostegno di una petizione che chiede l’abolizione del divieto.

Se certi leader religiosi tentano la strada “medica” (un membro del Consiglio degli Ulema, Saleh Saad el-Leheidan, era arrivato a dire pochi giorni fa che “guidare fa male alle ovaie”), ora le donne si appellano anche al Consiglio della Shura.

Al presidente del Consiglio è giunta una richiesta ufficiale di Latifa al-Shaalan: le donne saudite chiedono la cancellazione di una legge discriminatoria. Che ufficialmente non è una legge, ma una consuetudine imposta dalla religione e dalla tradizione. “È incredibile che una donna non possa guidare – ha commentato Al-Shaalan – se può diventare vice ministro, un membro della Shura e la rappresentante del Paese all’estero”. Da quest’anno, infatti, nel Consiglio della Shura sono entrate per la prima volta 30 donne, una riforma senza precedenti che ha dato qualche speranza alle donne saudite, seppure permangano restrizioni: le donne sono separate dai membri maschi da dei pannelli e non entrano dalla stessa porta.

Al-Shaalan tenta anche con la “psicologia inversa”: meglio che una donna guidi da sola la sua auto, piuttosto che salire a bordo di un taxi con uno sconosciuto, contraddicendo così la rigida separazione dei sessi prevista nel regno.

Intanto le donne saudite non si arrendono e si preparano alla campagna del 26 ottobre postata su vari siti con immagini di donne al volante. In uno dei video si vede una donna con il volto coperto dal niqab, il velo che lascia scoperti solo gli occhi, mentre guida e viene salutata con ampi sorrisi dai passeggeri di un’altra vettura che la sorpassa. Secondo la spiegazione che accompagna le immagini, si tratta di una ragazza che è stata ripresa da sua madre.

I video sono stati diffusi due giorni dopo che la Shura ha giudicato “irrilevante” la questione, sottolineando che essa non rientra nelle competenze degli organi di governo.

 Moltissime le adesioni  finora raccolte dalla campagna: resta da vedere quante donne decideranno di sfidare il regime.

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