Le divisioni nel sistema bancario europeo
di Salvo Ardizzone
Il sistema bancario è il comparto in cui, più che in altri, si mostrano le divisioni dell’Europa. Nel 2008, e negli anni successivi, gli Stati si sono svenati buttando centinaia di miliardi nei buchi immensi delle proprie banche per evitare che sprofondassero sotto il peso di titoli tossici e perdite. La Bce, che avrebbe dovuto occuparsene, ha faticato enormemente a dotarsi di regole comuni e più stringenti (Basilea 3) e dei primi strumenti di controllo seri (Eba e Ssn), per monitorare cosa avessero in pancia e come agissero; c’è voluta tutta l’autorità di Draghi e la paura del baratro vicino perché gli Stati cedessero un po’ della loro discrezionalità in materia.
Ma a parte l’ovvio interesse a mantenere il controllo su un comparto così strategico e delicato, ciò che frena e frenerà ancora un’integrazione è la profonda differenza di vedute sul sistema bancario; se prendiamo le tre maggiori economie della Ue, Germania, Francia e Gran Bretagna, abbiamo infatti tre visioni completamente diverse.
La Gran Bretagna è stata la prima a dover intervenire per evitare il tracollo: fra il 2007 e il 2008 ha praticamente nazionalizzato Northern Rock, Lloyds Banking Group e il colosso Royal Bank of Scotland, e fornito prestiti a diversi Istituti minori, arrivando a impegnare 133 Mld di sterline e a prestare garanzie sui deposi per altri 1.162 Mld. È stato un intervento traumatico per salvare la City, ma l’esatto contrario di quanto predicato dai santoni del mercato, ottusamente convinti che esso sia capace d’autoregolarsi; ora Cameron fa di tutto per uscirne, peccato che per completare il disimpegno, vendendo le quote azionarie acquisite, il Governo dovrà accollarsi perdite di decine di miliardi di sterline, oltre ai circa cinque all’anno che già costano gli interventi di garanzia della stabilità finanziaria. Insomma, per Londra, lo Stato può (anzi, deve) intervenire nel momento del pericolo, per accollarsi i guai (e le perdite) causati da altri, e, passata la bufera, ritirarsi perché tutto ricominci come prima, con i ringraziamenti dei signori della City. Giudicate voi.
La Germania, come la Francia, ha un’ottica dirigista, ma assai particolare; come abbiamo già detto, il suo sistema bancario si regge su tre pilasti: i colossi internazionali, essenzialmente Deutsche Bank e Commerzbank; le Landesbank, banche regionali sotto stretto controllo della politica dei Lander e le Sparkasse, ovvero le Casse di Risparmio locali, controllate dalle istituzioni locali. Tra il 2008 e il 2012, si calcola che il Governo Federale sia dovuto intervenire con 648 Mld di € per puntellare un sistema che di chiaro ed efficiente ha molto poco. A parte i colossi (ormai sotto la lente della Bce malgrado le feroci resistenze di Berlino), che han dovuto darsi una regolata, le Landesbank, e peggio ancora le 418 Sparkasse, si sono distinte per opacità di comportamenti, finanziamenti dubbi e gestioni approssimative; tuttavia, lo strettissimo controllo della politica le rende praticamente intoccabili, come dimostra la strenua resistenza opposta alla Bce, che voleva accendere una luce in quel marasma. Per Berlino, i panni sporchi si lavano in casa, anche se i costi della lavanderia ricadono poi su tutti.
Resta la Francia; Parigi ha un’antica tradizione dirigista e pone al mercato norme chiare che regolano ogni snodo di interessi; in più, è attenta (anche troppo) a difendere le aziende leader nazionali dalle “attenzioni” degli stranieri. I legami dello Stato con le grandi banche sono stretti, malgrado da tempo, almeno formalmente, non ci siano rapporti diretti di controllo, ma si sa, quello può essere esercitato in molti modi. Comunque sia, Parigi ha buttato nel comparto assai meno soldi di altri patners europei (24,4 Mld) e, a eccezione dell’intervento su Dexia, s’è limitata a prestare soldi ora restituiti. Sembrerebbe la ricetta ottimale, detratti alcuni eccessi, se non fosse per uno studio dell’Ocse che, fra le altre cose, rivela una mancanza di fondi propri per 31 Mld nel Credit Agricole (oggetto di controllo da parte delle realtà locali e già salvato una volta), e un altro commissionato dagli eurodeputati verdi, nel quale l’economista Gael Giraud stima in 48 Mld annui il sussidio alle banche francesi per la garanzia prestata dallo Stato sui risparmiatori. Insomma, vizi privati e pubbliche virtù, perché francese è bello a tutti i costi.
E l’Italia? Vent’anni fa il sistema bancario era assai più frazionato e in gran parte nelle mani dello Stato, poi ci sono state le privatizzazioni e le concentrazioni e con loro il tempo dei “salotti buoni” e delle Fondazioni. I primi hanno spadroneggiato a lungo, con effetti nefasti, ma ora il loro potere fatto di “relazioni” s’è dissolto; le seconde, nate dall’idea in teoria giusta di mettere le banche sotto il controllo degli enti locali dei territori su cui erano radicate, in breve hanno dato pessima prova, per tutti basta ricordare i casi Monte Paschi e Carige. Comunque sia, le massicce ricapitalizzazioni a cui le banche sono state costrette dal 2009 al 2014, per ripianare perdite e rimpinguare patrimoni (40,6 Mld), le hanno fatte divenire marginali.
In realtà, gli Istituti di Credito italiani nella media son stati e sono più sani della gran parte di quelli del resto dell’Europa, per il semplice fatto che hanno giocato meno con i titoli che hanno intossicato gli altri; certo, hanno una montagna di sofferenze e incagli (i Non Performing Loans), ma anche in questo non stanno affatto peggio degli altri, anzi, stanno superando la crisi con mezzi propri. I Tremonti bond e i Monti bond son stati erogati per 6,3 Mld in tutto, assai poco rispetto al resto d’Europa, e non s’è trattato d’un regalo ma di prestiti assai cari che le banche si stanno affrettando a rimborsare visto che rendono allo Stato una montagna di soldi.
Allora? Allora le banche italiane son state e sono prive d’una funzione d’indirizzo e di un solido controllo più che sulla regolarità dei conti (in questo Bankitalia in qualche modo ha agito anche meglio che in altri Paesi), sulla maniera di fare banca; sul modo di fare utili e sul come convogliare le risorse, ora scarse, per rimettere in moto lo sviluppo. È mancata la sinergia col territorio e con le sue caratteristiche e vocazioni; è mancata totalmente una politica del credito d’uno Stato inetto quanto distratto; è mancata una vigilanza (ma vera) che impedisse alle banche di vessare chi ha poco potere contrattuale e inchinarsi a chi ne ha o ne ostenta molto. È mancato lo Stato. E manca ancora.