Lavoro, laureati italiani meno pagati in Europa
Sta facendo molto discutere in questi giorni il “problema lavoro” che, con l’arrivo della bella stagione e con la campagna di vaccinazione, porterà in Italia molti turisti. Terzo settore che stando a quanto emerge sta faticando non poco a trovare figure professionali. Settore in crisi soprattutto quello alberghiero e quello della ristorazione. Il perché è presto detto: molti rifiutano le paghe a nero, i ritmi di lavoro infernali e la mancanza di sicurezza. Sono lavori svolti per lo più da giovani e giovanissimi, magari diplomati all’alberghiero che non appena usciti dalle aule scolastiche si trovano dinnanzi al mondo famelico del mondo del lavoro “all’italiana.”
Eppure non sono solo i giovanissimi a bassa formazione. Infatti, a soffrire la mancanza d’offerta o il precariato che il più delle volte sfocia nel para-schiavismo, sono anche i laureati che dopo un percorso di studi fatto di impegno e fatica si trovano dinnanzi al muro delle offerte delle agenzie di lavoro.
Italiani, spagnoli e polacchi: questi sono i laureati meno pagati in Europa e non sorprende più di tanto che l’Italia sia prima in questa classifica. Un italiano fresco di laurea guadagna in media poco più di 28mila euro annui lordi, meno di un inglese che ne guadagna 32, di un francese che ne guadagna 35 senza arrivare a nominare tedeschi (50mila) e svizzeri che arrivano alla soglia dei 78mila.
Cosa non funziona nel mondo del lavoro?
Stando alla società Mercier che ha curato lo studio, quello che manca in Italia è la valorizzazione del titolo di studio. Non ci sono lauree inutili a differenza della vulgata comune che vede “solo” nella medicina e nella giurisprudenza gli sbocchi migliori perché nel resto d’Europa la laurea comporta un notevole vantaggio. Nel 2016, i laureati nella fascia 25-64 anni, con un lavoro a tempo pieno, guadagnavano il 37% in più dei lavoratori a tempo pieno con un’istruzione secondaria superiore. Il problema principale è che nel resto d’Europa questo vantaggio, all’apparenza enorme, risulta molto ridimensionato visto che un laureato guadagna il 54% in più di un diplomato.
In Italia abbiamo pochi laureati. Nell’anno accademico 2019/2020 si registrano nell’intero sistema universitario 339.707 laureati. Nel 2018, la percentuale di 30-34enni con un livello di istruzione terziaria (27,8) era inferiore alla media Ue del 40,7%. In Italia, essendo terra di paradossi, si aggiunge quella che viene poeticamente definita la “Fuga dei Cervelli”, ossia le limitate prospettive occupazionali con adeguata remunerazione spingono i giovani ad andare via.
Cervelli in fuga
I cervelli in fuga sono cresciuti del 41,8% rispetto al 2013, ma il problema ulteriore è che queste partenze non vengono compensate dagli arrivi. Infatti, non arriva un flusso di persone altamente qualificato creando nei fatti un saldo netto al negativo.
Mancano le lauree Steem che è un acronimo per indicare scienze, tecnologia, matematica, ingegneria. Manca anche la formazione professionale nelle lauree in edilizia, ambiente, energia, trasporti. Tutto ciò non fa altro che incidere negativamente sul tasso di occupazione che è già basso di suo visto che solo il 68% dei laureati ha un lavoro contro la media Ocse dell’85%.
I principali atenei stanno tentando di aumentare i corsi d’Inglese, altro tasto dolente è la lingua straniera che in pochi e male parlano. I corsi sono aumentati a 688 in 70 università ma non cambia il fatto che solo il 5% è la quota degli studenti stranieri in Italia contro la media del 9% nei Paesi Ue. Tra le righe del Recovery Plan c’è anche l’idea di potenziare la mobilità degli insegnati tra i vari atenei, quanto di questo diverrà realtà, se lo diventerà, lo vedremo nei prossimi anni.
di Sebastiano Lo Monaco