Lavoro, Italia ultima in Ue nel divario uomini-donne
Lavoro – Come accaduto nei comparti scuola e sanità, la pandemia ha fatto aprire gli occhi a buona parte della popolazione, facendo vedere come molti settori sono sull’orlo del baratro a causa delle dissennate politiche portate avanti nel corso degli anni da tutti gli schieramenti politici.
In questi giorni è balzato alle cronache il divario lavorativo tra uomini e donne e della disparità di reddito che è stata calcolata nel 59,5% rispetto a quello maschile. In soldoni, le donne recepiscono quasi il 60% di stipendio in meno rispetto ad un collega uomo. Ci voleva la pandemia per farlo scoprire?
Il report di Cecilia Guerra, sottosegretaria all’Economia ha messo in risalto come il carico di lavoro informale, non retribuito, gravi sulla popolazione femminile sottolineando che è arrivato il tempo per riprogettare e potenziare i servizi di pubblica cura. Il quadro delineato da Cecilia Guerra è desolante: L’Eu Gender Equality Index ha sì visto l’Italia guadagnare 12 posizioni tra il 2005 e il 2017, ma il nostro rimane «l’ultimo Paese in termini di divari nel dominio del lavoro».
Lo scorso anno, il tasso di occupazione femminile risultava ancora inchiodato al 50,1% (e con la pandemia è sceso di nuovo sotto questa soglia), marcando una distanza di ben 17,9 punti percentuali da quello maschile. I divari territoriali sono molto ampi: il tasso di occupazione delle donne è pari al 60,2% al Nord e al 33,2% al Sud.
Donne nel mondo del lavoro
Il 40% delle donne si trova occupato in tre settori: Commercio, Sanità, Istruzione e ciò incide in modo significativo sul divario retributivo producendo fortissimi svantaggi per le donne. “Nelle donne tra i 25 e i 49 anni il gap occupazionale è del 74,3% tra quelle con figli in età prescolare e quelle senza figli. «Uno dei sintomi più evidenti delle evidenti difficoltà di conciliare vita lavorativa e vita professionale», ha sottolineato la sottosegretaria. Insieme all’altro dato spia di forte malessere, le dimissioni volontarie, come rilevato dall’Ispettorato nazionale del lavoro, coinvolgono le madri nel 73% dei casi.
La qualità del lavoro femminile risente fortemente di tale disparità. “Sale a 32,9% la quota di donne in part-time, involontario nel 60,8% dei casi. Sono le donne ad apportare più frequentemente modifiche all’impiego. Peraltro, sebbene più di una su quattro (26,5%) sia sovra-istruita rispetto al proprio impiego, è alta nella popolazione femminile l’incidenza di lavori con paga bassa (11,5%). Il reddito medio delle donne rappresenta circa il 59,5% di quello degli uomini a livello complessivo.
Il rafforzamento dei servizi pubblici di cura «può produrre impatti positivi attraverso tre canali: l’alleggerimento dei carichi tradizionalmente gestiti nella sfera familiare, la maggiore domanda in un settore, quello della cura, ove è più alta la presenza femminile, la riduzione dei forti divari di opportunità di assistenza ed educazione che caratterizzano il nostro Paese.
Sino adesso si è fatto poco e nulla visto che sul totale di 720 miliardi spesi di euro spesi, quelli impegnati nel combattere la disuguaglianza sono state nell’ordine dello 0,3. Introdurre la valutazione dell’impatto di genere nel Recovery Plan sarebbe un enorme passo avanti: favorirebbe la costruzione di indicatori disaggregati di genere, da utilizzare anche in futuro nella valutazione sia ex ante sia ex post di tutte le politiche pubbliche.
di Sebastiano Lo Monaco