Lavoro in Italia, giovani con eccesso di competenze
Il tema del lavoro, in Italia, non è mai foriero di buone notizie tra la disoccupazione a livelli record in Europa ed un numero eccessivo di Neet. È di questi giorni la notizia che un giovane su 4 possiede competenze superiori a quelle richieste; non sono pochi i ragazzi che si vedono cacciare dai colloqui negli uffici del personale sentendosi recitare la formula nefanda: “Grazie ma lei ha un eccesso di competenze”.
Eppure per molti giovani italiani non mancano le offerte di lavoro che però non arrivano dal territorio italiano bensì dall’Inghilterra, che fa incetta di medici e infermieri, dall’Irlanda, dall’Olanda, dalla Germania e da Hong Kong, ma in Italia lo scenario che si delinea è quello di una contrapposizione tra un tasso di disoccupazione giovanile che supera il 30%, mentre dall’altra parte vi sono posti vacanti che aumentano visto che il tasso di posti vuoti nelle aziende con più di 10 dipendenti è passato dallo 0,7% del 2015 all’1,2% attuale.
Si tratta di aziende che faticano non poco per poter trovare i candidati adatti e stando alle rilevazioni del sistema informativo Excelsior, su 428mila assunzioni previste nel mese di Luglio il 26,6% è di difficile reperimento con percentuali che salgono al 36,1% per gli operai specializzati e al 39,2% per le professioni tecniche.
Dinnanzi al fenomeno che viene definito “mismatch”, a peggiorare la situazione vi è anche l’overeducation legata alla difficoltà riscontrata dalle aziende di piccolo taglio di assorbire profili con “eccesso di competenze” che vengono attratti dalle sirene dell’estero sia per quanto riguarda l’aspetto della qualità lavorativa che quello dell’aspetto economico visto e considerato il basso livello dei salari: in Italia, come evidenzia l’Ocse, un cuneo fiscale tra i più alti al mondo (al 47,9% rispetto a una media del 36,1%) da un lato fa schizzare verso l’alto il costo del lavoro e dall’altro zavorra la busta paga netta dei lavoratori.
Il livello medio della retribuzione annua netta di un lavoratore è di 21.469 euro rispetto ad un costo del lavoro di oltre 41mila euro, retribuzione simile che si può trovare in Spagna che però ha un costo del lavoro che non arriva ai 35mila euro, gli stipendi più alti si trovano in Lussemburgo (42mila euro), Danimarca e Olanda (36mila euro), Irlanda (35mila), Austria (31mila), Germania (30.474).
Oltre 24% dei giovani lavoratori è “overeducated” ossia possiede un eccesso di competenze o possiede un titolo di studio che è troppo elevato per il tipo di mansione svolta; si tratta di 437mila lavoratori su 1,1milioni di laureati tra i 25 ed i 34 anni e 678mila diplomati tra i 20 ed i 24 anni per una percentuale che va dal 18% dei diplomati al 28% dei laureati, numeri che sono cresciuti rispetto al 2015 quando se ne avevano 398mila.
In Italia però non esiste solo il fenomeno della “Overeducation” ma anche quello dell’”Undereducation” visto che il 6% dei lavoratori possiede competenze inferiori rispetto a quelle richieste dalla mansione svolta mentre il 21% è sotto qualificato ma nel paese dei paradossi le sorprese non finiscono; nello stesso tempo i lavoratori con “eccesso di competenze” sono l’11% e quelli sovra qualificati il 18% senza considerare che il 35% dei lavoratori svolge mansioni in settori che non hanno nulla a che vedere con il proprio titolo di studi con una percentuale tra le più alte nell’area Ocse
Sono 13 milioni gli adulti italiani che possiedono competenze di basso livello e anche questa è una delle percentuali più alte registrate nei paesi dell’Ocse con un investimento nel capitale umano tra i più modesti se si considera che solo il 20% degli italiani tra i 25 ed i 34 anni è laureato a confronto della media Ocse del 30%
La causa di tutto ciò? Accanto ad imprese relativamente grandi ve ne sono moltissime che hanno un management del tutto impreparato e con scarse competenze con livelli di produttività più che modesti, skills insufficienti e bassi investimenti in nuove tecnologie senza tenere in considerazione che i salari sono legati all’età e alla tipologia di contratto più che alla performance individuale e allora la domanda sorge spontanea: come venir fuori da questa situazione? Occorrerebbero interventi sugli investimenti, innovazione e soprattutto investimento nel capitale umano cosa che in Italia appare un miraggio.
di Sebastiano Lo Monaco