Mentre suona roboante la notizia che all’estero vivono sei milioni di Italiani, in Italia le cose rimangono le stesse per quanto riguarda il comparto lavoro. Anzi, forse peggiorano. Infatti, il 34% dei nuovi contratti a termine attivati nel 2021, anno che è stato preso in esame dal rapporto Inapp, 7 su 10 sono a termine.
Altra questione è quella che riguarda i “working poor” ossia i lavoratori poveri che in Italia sono il 10,8% del totale contro una media Ue dell’8,9%.
È una questione, quella del lavoro in Italia, che va analizzata sotto la lente delle fredde cifre per capire la vastità e la complessità del fenomeno. L’11,3% degli occupati, contro una media Ocse del 3,2%, ha un “part time involontario”, in parole semplici, uno stipendio più basso rispetto a quello di cui necessiterebbero. Dei contratti attivati nel 2021, il 68,9% sono a tempo determinato e solamente il 14,8% a tempo indeterminato.
Lavoro “atipico”
Il lavoro “atipico”, tutte quelle forme di contratti che differiscono da quello a tempo indeterminato, rappresenta l’83% delle nuove assunzioni con un aumento del 34% negli ultimi 12 anni. L’8,7% dei lavoratori subordinati e autonomi, percepiscono una retribuzione annua lorda equivalente a meno di 10mila euro, mentre solo il 26% dichiara redditi annui superiore ai 30mila, valori bassi se comparati con quelli del resto d’Europa.
I contratti a tempo indeterminato sono pochi (14,8%), le attivazioni di contratti stabili appena il 16,7% ma il problema principale è che i contratti a tempo indeterminato sono spesso di durata molto breve e capita, di sovente, che un solo lavoratore abbia in un anno più attivazioni. Se consideriamo il 40% dei lavoratori con reddito più basso, il 12% non è in grado di provvedere ad una spesa improvvisa, principalmente per due motivi: non ha risparmi o non può accedere ai prestiti.
di Sebastiano Lo Monaco