L’aviazione Usa a sostegno dei “ribelli” siriani
Barak Obama ha autorizzato l’aviazione Usa ad appoggiare i “ribelli” siriani finanziati ed addestrati dal Pentagono ufficialmente per combattere l’Isis, anche se ad attaccarli fossero le forze regolari del Presidente al-Assad. Il Wall Street Journal scrive che la decisione è giunta dopo un lungo dibattito all’interno dell’Amministrazione americana.
Da molto tempo Washington tenta di avere sul campo una forza propria in Siria, per avere voce in capitolo sulle dinamiche della regione. Il Pentagono ha speso fiumi di denaro per pagare, addestrare ed equipaggiare gruppi di mercenari (perché di questo si tratta) da impiegare per i propri fini. Il fatto è che già l’arruolamento è stato disastroso: pochi elementi, raccogliticci e senz’altra motivazione che la paga; alla prova dei fatti, quelle bande sono state sbaragliate dall’Isis al primo scontro serio, facendo naufragare l’iniziativa.
Adesso, Alistaur Baskey, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha dichiarato che l’Amministrazione farà tutto il necessario perché quelle forze conducano la loro missione. Che tradotto significa che avranno la totale copertura aerea Usa, cosa nella realtà negata agli iracheni ed alle altre forze che combattono seriamente contro il “califfato”, beffati tutti con gli strike farsa della Coalizione fantasma.
La decisione, unita all’avallo dato ad Erdogan di attaccare i combattenti curdi (altri avversari dell’Isis), rischia di avere un effetto micidiale sui fragilissimi equilibri della regione. Lo ha affermato senza mezzi termini il Cremlino per bocca del portavoce di Vladimir Putin: Dmitri Peskov ha dichiarato che l’assistenza all’opposizione in Siria, indebolendo le forze governative, avvantaggerebbe l’Isis, aumentando la destabilizzazione dell’area.
In realtà, Obama ed Erdogan vogliono giocare d’anticipo prima che l’evolvere della situazione sul campo tolga loro ogni possibilità di manovra. Il primo intende giocare le sue ultime carte sulla crisi siriana, e per farlo deve avere da un canto una forza militare sul luogo, dall’altro indebolire al-Assad per impedirgli una vittoria sul campo che, malgrado quanto detto dalla propaganda occidentale, s’avvicina. Il secondo, gettata la maschera, intende regolare i conti con le milizie curde, e così assicurarsi la vittoria elettorale che gli è appena sfuggita proprio a causa loro e dell’Hdp, il partito che rappresenta quella popolazione.
Combattere l’Isis è l’eterna scusa per entrambi, ma a combatterlo non ci pensano neppure perché, sconfitto lui, come nei fatti s’avvia ad avvenire, finirebbero le guerre per procura e la destabilizzazione dell’area, che permettono i calcoli e i sogni di Washington e di Ankara. Per questo colpiscono chi lo combatte realmente.
E sanno pure d’avere poco tempo, perché, dopo gli accordi di Vienna sul nucleare iraniano, gli equilibri sono in rapida evoluzione in tutto il Medio Oriente: il riconoscimento del peso politico dell’Iran, gli permetterà di svolgere appieno il suo ruolo naturale di potenza regionale, avviando a soluzione le crisi aperte malgrado la strenua opposizione di Riyadh, Tel Aviv, Washington e Ankara, che soffiano sul fuoco delle “proxy wars” per impedire la stabilizzazione di Siria, Iraq e Yemen, da cui hanno tutto da perdere.
È un miserabile gioco al massacro perpetrato su Nazioni e popolazioni martoriate, ma la Storia ha ormai ripreso il suo cammino e spazzerà chi le si pone contro.