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L’asse Putin-Bergoglio continua a preoccupare Washington

di Salvo Ardizzone

Mercoledì pomeriggio Vladimir Putin è stato ricevuto in Vaticano: un faccia a faccia di cinquanta minuti cercato dal Presidente russo e subito accettato da Bergoglio, malgrado le pressioni di una Washington preoccupata (che fino all’ultimo istante ha tentato inutilmente, tramite il suo ambasciatore presso la Santa Sede, di fare assumere al Pontefice almeno una posizione di velata critica nei confronti dell’ospite per la vicenda Ucraina) e i malumori dei cattolici ucraini.

Il Papa non s’è fatto influenzare e ha ribadito che intende rivolgersi a tutte le parti per facilitare il dialogo e disinnescare la spirale delle violenze; come ha ripetuto sabato scorso a Sarajevo, il clima di guerra che si respira in tante parti del mondo è dovuto a coloro che, per interessi propri, fomentano gli scontri fra culture e civiltà, a quei potenti che speculano sui conflitti.

Putin ha ufficialmente chiesto l’udienza per chiedere che Bergoglio intervenga perché sia tolto il blocco del Governo ucraino agli aiuti russi destinati alle regioni orientali, sprofondate in una crisi umanitaria a causa della guerra, ma nel colloquio s’è parlato di molto altro: Medio Oriente, con in primo piano la situazione siro-irachena, e di Ucraina, per quello che il Pontefice ha definito nel febbraio scorso “lo scandalo di una guerra fra cristiani”.

Il Papa non ha mai accettato di definire Putin un aggressore e, malgrado i numerosi interventi della diplomazia statunitense, ha rifiutato di schiacciarsi sulla politica estera occidentale (leggi di Washington), rivendicando una propria strategia autonoma. Il suo assillo, come ha manifestato più volte, è di scongiurare la creazione strumentale di una nuova Guerra Fredda, che diverrebbe in breve una guerra di religione fra mondo cattolico e mondo ortodosso. D’altronde, lo stesso patriarca Ilarione ha fatto trapelare l’apprezzamento per l’atteggiamento equilibrato ed indipendente assunto dal Vaticano; un giudizio pienamente condiviso dal Cremlino.

Con Putin, fin dal 2013 vi è piena assonanza sulle crisi medio orientali, e nell’incontro s’è discusso seriamente della situazione ucraina, che è considerata un episodio della grande guerra in atto nel mondo, scatenata dai cinici giochi di potere di chi ambisce a mantenere il predominio.

La capacità di Bergoglio di porsi come mediatore super partes nelle crisi mondiali, lo ha consacrato, piaccia o no, protagonista della scena internazionale, e sta interpretando il ruolo al di fuori dagli schemi tradizionali. Di qui il viaggio a luglio in Sud America, che eviterà la ribalta dei grandi Stati come il Brasile, per dedicarsi alle periferie come la Bolivia, il Paraguay, l’Ecuador; di qui la volontà di far precedere il viaggio negli Usa di settembre, da un tappa a Cuba, per presentarsi a Washington come garante degli accordi fra l’isola caraibica e gli Usa, perché, come s’è ripetuto varie volte negli ambienti vaticani, “nessuno vuole che Cuba divenga un’appendice di Miami”.

Bergoglio continua a condurre un’agenda propria che Washington segue con sempre maggiore attenzione ed apprensione; per questo, al termine dell’udienza di mercoledì, era un Putin visibilmente soddisfatto ad accomiatarsi, consapevole d’aver incontrato un interlocutore solido, con cui è sempre possibile un’intesa sulla base della ragionevolezza.

Esattamente ciò che fa ombra a chi suscita crisi e guerre per perseguire i propri disegni di dominio.

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