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L’Argentina rischia un rapido riavvicinamento a Washington

di Salvo Ardizzone

Mauricio Macri è il nuovo presidente dell’Argentina: di centrodestra, uno degli uomini più ricchi del Paese, proprietario di una famosa squadra di calcio (vi ricorda qualcuno?), al ballottaggio ha vinto di stretta misura sul candidato peronista Daniel Scioli, ponendo fine a un’era iniziata nel 2003 con Nestor Kirchner e alla sua morte continuata con la moglie Cristina.

In questo periodo l’Argentina è riuscita a risollevarsi dopo il default del 2001, ed a ridurre le considerevolmente diseguaglianze grazie ai ricavi dell’alto prezzo delle materie prime (le “commodities”) esportate. Ma invece di destinare le risorse allo sviluppo del Sistema Paese con investimenti nell’economia reale, quel fiume di denaro è stato utilizzato per una pioggia di sussidi ad attività spesso fallimentari, per dilatare una spesa pubblica improduttiva e per alimentare una corruzione crescente. Da qualche tempo, crollati i prezzi delle materie prime, il debito pubblico è esploso mettendo in crisi un’economia squilibrata, basata troppo spesso su spese parassitarie.

Il blocco di consensi che sosteneva i Kirchner era cementato oltre che da iniziative chiaramente populiste, da una ramificata rete clientelare tesa ad occupare ogni spazio politico/economico. Questo sistema, che ha retto per anni, è entrato in crisi per la diminuzione delle risorse disponibili e sotto il peso crescente di corruzione e scandali.

È stata la voglia di “cambiamento”, quale che fosse, a spingere la vittoria di Macri che, tuttavia, pur essendosi aggiudicato i governatorati più importanti del Paese, non disporrà di una maggioranza parlamentare. Questa sua debolezza renderà ancor più difficile il governo di un Paese in difficoltà economica e con scarsa credibilità internazionale.

La politica estera dei Kirchner ha avuto il merito di non schiacciarsi sul potere Usa e delle sue multinazionali, che hanno ripagato l’Argentina in più occasioni, da ultimo con una stupefacente sentenza a favore di “fondi avvoltoio” che minaccia di portare il Paese ad un nuovo default.

Adesso, con Macri è da aspettarsi un rapido riavvicinamento a Washington e all’”ortodossia” del Fmi, con tutte le consuete conseguenze: aumento delle diseguaglianze, disoccupazione, etc., oltre che un riposizionamento internazionale, fin’ora vicino al fronte dei Paesi critici verso l’imperialismo Usa (Cuba, Bolivia, Venezuela).

Uno scenario visto troppe volte, che fa scontare ai Popoli gli errori e le colpe di un ceto politico troppo spesso inadeguato e concentrato sulle proprie convenienze.

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