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L’Arabia Saudita registra il deficit di bilancio più alto della sua storia

di Salvo Ardizzone

Come largamente previsto, nel 2015 l’Arabia saudita ha registrato il deficit di bilancio più alto della sua storia; ad annunciarlo sono stati funzionari del Ministero delle Finanze nel corso di una inconsueta conferenza stampa tenutasi a Riyadh.

Secondo i dati diffusi, nel corso del 2015 le spese hanno superato i ricavi di 98 Mld di $, ma prima della dichiarazione il Fmi aveva stimato il disavanzo in almeno 130 Mld e tutti i report delle altre Agenzie internazionali concordavano per una cifra superiore ai 100 Mld, facendo sospettare che i numeri ufficiali abbiano subito qualche ritocco.

Questo è il secondo anno consecutivo che il bilancio saudita chiude in pesante perdita e un successivo comunicato del Ministero delle Finanze ha già annunciato la previsione di un’ulteriore perdita di 87 Mld nel corso del 2016. Ma è la situazione complessiva che è in rapido peggioramento: il reddito del Paese nel 2015 è stato del 15% inferiore alle previsioni sull’anno e del 42% al di sotto di quelle del 2014.

I problemi che stanno prosciugando le casse dello Stato a un ritmo crescente sono sempre gli stessi, e non fanno che aggravarsi: nell’estate del 2014 Riyadh, in un quadro di sovrabbondanza di greggio, non solo ha rifiutato di tagliare la produzione ma ha cominciato a venderne al di là della sua quota Opec, decretando di fatto la fine del cartello, e con essa il crollo dei prezzi del petrolio che da allora si sono ridotti di oltre il 60%, giungendo a cavallo dei 40 $/barile.

Il motivo sta in un calcolo politico: facendosi forte di estese riserve finanziarie accumulate negli anni passati, Riyadh ha provocato il crollo dei prezzi per colpire i produttori di shale oil nordamericani, che hanno un costo d’estrazione assai più alto; la Russia, già in difficoltà per le sanzioni e l’Iran, in procinto di rientrare nel mercato mondiale dopo gli accordi di Vienna.

La misura si è però rivelata un boomerang che sta colpendo l’Arabia Saudita assai più duramente del previsto: non solo le quotazioni sono precipitate più di quanto immaginato, riducendo i ricavi drasticamente, ma sono contemporaneamente aumentate le uscite.

Sono incalcolabili le somme che Riyadh continua a spendere per sostenere le guerre per procura che alimenta in Siria, Iraq e altrove, come pure lo sono quelle dei numerosi contratti multimiliardari con cui compra il sostegno di altri Stati (Egitto, Francia, etc.). Inoltre, l’aggressione allo Yemen s’è rivelata un pozzo senza fondo, sia per le spese necessarie alle operazioni militari, sia per quelle destinate a pagare a peso d’oro gli Stati che mandano contingenti a combattere al fianco dell’inconcludente Esercito saudita.

Questi fiumi di denaro in uscita si aggiungono alle spese folli di una sterminata famiglia reale e ai sussidi e alle sovvenzioni a pioggia con cui il regime compra il consenso della popolazione.

Contrariamente a quanto si possa immaginare, a fronte di una casta di ricchissimi privilegiati, la massa della gente è costituita da poveracci che sbarcano il lunario grazie a qualche modesto impiego pubblico ottenuto attraverso le estesi reti clientelari e nepotistiche, e grazie appunto alle elargizioni pubbliche.

Il fatto è che, guidati da sedicenti consulenti occidentali, i vertici sauditi pensano ora di inaugurare una cosiddetta politica di austerità aumentando drasticamente i prezzi dell’energia elettrica, del carburante e dell’acqua e tagliando proprio i sussidi alla massa della gente comune. Inoltre, è in progetto di abbandonare la parità fissa del rial, cosa che indurrà una crescente inflazione.

Inutile dire quanto queste misure, che infrangono il patto non scritto ma fondamentale fra casa reale e popolazione, porteranno malcontento, aggravato dal fatto che la casta dominante non intende rinunciare a nessuno dei propri privilegi, continuando a dissipare ricchezze enormi.

Riyadh si trova ora in gara contro il tempo: dopo essersi cacciata in partite irrisolvibili che volgono tutte al peggio (Siria, Iraq, soprattutto Yemen e la dissennata guerra del petrolio) deve trovare una via d’uscita prima che le sue riserve, cospicue ma non infinite, si esauriscano.

Per ora tenta di guadagnare tempo, bruciando cataste di miliardi e cominciando a ricorrere per la prima volta a prestiti internazionali, ma le misure che s’appresta a mettere in atto sono ancora una volta scommesse che le si possono ritorcere contro.

È la Storia che si prende la sua rivincita contro chi pensava di poterla bloccare e dominare in eterno col denaro.

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