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Lampedusa: il ventre molle d’Europa

di Mauro Indelicato

E’ calda l’aria di Lampedusa a poche ore dalla visita papale; un’isola piena di turisti, con una via Roma dall’aspetto molto rigoglioso, illuminata dall’atmosfera unica della più grande delle Pelagie. La nave, manco a dirlo, per Porto Empedocle che doveva partire alle 16 partirà invece a mezzanotte, per la gioia, si fa per dire, di chi sperava che almeno nel giorno della visita di Bergoglio questo lembo di terra potesse vivere condizioni di normalità.
Forse anche per questo il corso centrale è pieno di turisti, tutti, chi più chi meno, ha ancora nella mente la storica visita del Papa: “Passaru tutti di ccà – afferma orgoglioso un pescatore sfoderando con altrettanto orgoglio il proprio accento siciliano – E’ venuto Modugno, è venuto Baglioni e pure Berlusconi, mancava sulu u Papa”.
Più che di immigrazione, sta proprio in questo l’orgoglio lampedusano per la venuta di Papa Francesco; in molti sottolineano l’impennata d’immagine (e di turisti) che sta portando l’improvvisa scesa del pontefice, mostrando il volto di una Lampedusa operosa e capace di organizzare in fretta e furia un evento del genere.

Il sottoscritto, ha visto personalmente tanti lampedusani che, invece di tirare dritti in spiaggia o a casa dopo il lavoro, andavano a pitturare le pareti del palco da cui ha parlato il Papa, oppure aiutavano la protezione civile a sistemare le sedie, chi più o chi meno ha dato il proprio personale apporto al fine di non lasciare nulla al caso.
Basti pensare, che la sala stampa dalla quale molti giornalisti da tutta Europa hanno potuto seguire l’evento e lavorare sui pezzi, non era un’improvvisata aula scolastica o un gazebo volante, bensì un ristorante che si è offerto volontariamente a dare una dignitosa sistemazione ai cronisti; il problema dell’immigrazione, eppure enfatizzato dai media, viene sfiorato dai lampedusani: “Gli sbarchi li abbiamo da 10 anni e più – afferma un noto ristoratore dell’isola – noi accogliamo a braccia aperte il Papa perché è l’unica autorità che ci prende sul serio, che non viene a fare passerelle e che si sporca le mani parlando in una periferia europea come la nostra”.

Eccolo il senso delle 15mila persone presenti nel campo sportivo: l’estremo lembo di terra a sud dell’Europa che si rispecchia con il primo pontefice della storia proveniente dal sud del mondo, che non snobba i cittadini, bensì quei politici che da anni lucrano migliaia di voti dalle speranze disattese del popolo lampedusano.
Il sottoscritto ha composto l’articolo proprio da quella nave partita con 8 ore di ritardo; sul ponte, un lavoratore lampedusano che da un piccolo esempio fa capire il grande problema politico/amministrativo di quest’isola: “E’ vent’anni che faccio su e già da Agrigento per lavoro: questa è la prima volta che ho una nave con il gabinetto in cabina e con l’aria condizionata. Doveva venire il Papa per sentirci di diritto collegati all’Europa.”
Scoprire Lampedusa, è come portare alla luce il ventre molle del malandato vecchio continente, quella zona cioè quasi fuori dal mondo, snobbata da tutti, che però tira fuori una grinta che le permette di restare a galla in mezzo ad un infuocato Mediterraneo.

Ad un’ora dalla partenza da Lampedusa, si notano le luci di Linosa, l’altra isola dell’arcipelago delle Pelagie; la nave tira via dritto, troppo imponente per “porto”, si fa per dire, costituito da una lingua di cemento e scogli. Linosa è un’isola che non possiede nemmeno un eliporto; se il mare decide di agitarsi, neanche le “carrette” della compagnia Siremar riescono ad attraccare e in inverno spesso Linosa rischia di rimanere senza collegamenti con il mondo e con scarse derrate alimentari.
Molti assidui frequentatori della tratta di mare in questione, affermano come anzi adesso la situazione è migliorata: negli anni 80, non c’era neanche quella striscia di cemento scarsamente asfaltata, si scendeva a volo, attendendo l’allineamento della nave con una piccola banchina sulla quale i marinai spingevano giù, al momento giusto, i terrorizzati avventori.

Eccolo dunque come si presenta al mondo questo lembo di terra da sempre confine di culture, popoli e tradizioni, che ha accolto la prima visita pastorale di Papa Francesco; capire questi popoli isolani ed isolati, vuol dire fare un viaggio nei meandri più nascosti del sensibilità umana e si può apprezzare unilateralmente il coraggio di questi cittadini, che però non si definiscono tali: “Possiamo mai essere cittadini di uno Stato che si è scordato di noi?” è la frase che ricorre maggiormente nei bar di Lampedusa.

Certo, esiste un problema immigrazione, ma ridurre soltanto a questa tematica la visita di Papa Francesco è decisamente fuori luogo; il Papa ha voluto toccare con mano queste terre, lo ha fatto dopo appena 3 mesi dal suo insediamento, lo Stato ancora non c’ha provato a distanza di 150 anni dalla sua fondazione.

Chi ha avuto la fortuna di incrociare anche per un solo secondo lo sguardo di Bergoglio, ha potuto notare come non ci sia alcuna recita in ciò che fa; quando parlava degli immigrati lasciati morire sulle reti per i tonni era davvero assorto in preghiera, quasi commosso; così come quando ha parlato di una globalizzazione dell’indifferenza, era possibile notare una certa immedesimazione nel discorso tramite i suoi gesti. Non è stato un caso, inoltre, la pronuncia del saluto lampedusano reso celebre in tutta Italia da un festival musicale, “O’Scià”; un gesto che ha mandato in grande estasi la folla di Lampedusa.

Certo, il discorso sull’immigrazione vien fuori proprio nel momento in cui i poteri forti stanno scommettendo su un’ideologia chiamata del “multiculturalismo” europeo, capace di demolire negli anni ciò che resta della civiltà da cui discendiamo, ossia quella latino/romanico–cristiana e di creare sconquassi sociali in tutta la società europea.
Il rischio adesso, è che una visita nella quale si mettono in risalto le condizioni di vita spesso poco dignitose degli stessi lampedusani, passi ora per una strumentalizzazione del più becero buonismo; è un rischio che Papa Bergoglio sta correndo, forse anche perché poco attratto e quindi poco informato sul grande livello di meschinità della nostra classe dirigente.

In ogni caso, la visita del Papa a Lampedusa, ha aperto una luce su questa parte di pianeta; ci si concentri, almeno è questo l’auspicio, a dotare l’isola di un ospedale o di una nave con tanto di gabinetto in camera, piuttosto che strumentalizzare un problema sul quale, tra le altre cose, in pochi hanno riportato la frase con la quale Francesco indica precise responsabilità, affidate non all’accoglienza dei lampedusani o degli europei agli immigrati, tra l’altro decisamente perfetta e collaudata a Lampedusa, bensì affidate a quel mondo del falso benessere che ha smarrito, secondo Bergoglio, la propria sensibilità e che non riesce più nemmeno ad indignarsi.

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