L’America Latina alla 68° Assemblea Generale delle Nazioni Unite
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che si è tenuta a New York a fine settembre aveva un tema di grande attualità che ha concentrato l’attenzione dei nostri media: la questione siriana e il braccio di ferro fra i due principali contendenti in quella assemblea: la Russia e gli Stati Uniti. La sede è stata utile per rallentare la dissennata corsa alla guerra che sembrava ormai dietro l’angolo ma è stata anche teatro di una sfilata di capi di stato latinoamericani che hanno posto questioni di rispetto dei diritti e delle sovranità indirizzate soprattutto ad accusare gli Stati Uniti di gravi abusi e scorrettezze.
Fra gli interventi di maggior rilievo c’è stato quello della presidentessa del Brasile, Dilma Rousseff, che ha accusato il Presidente Obama, in attesa di parlare dietro le quinte, per la pratica di spionaggio della National Security Agency rivelate da Edward Snowden, rivolta anche a un governo amico, come fino ad ora è stato il Brasile. Dilma ha chiesto a muso duro “spiegazioni, scuse e garanzie affinché il fatto non si verifichi in futuro”.
Il Venezuela che, finché è stato in vita il Presidente Chávez, era il portabandiera delle accuse dei Paesi del Terzo Mondo sui soprusi nordamericani, non era presente a New York visto il trattamento riservato a Maduro al quale era stato vietato il sorvolo di Porto Rico durante il suo viaggio in Cina, divieto poi rimosso mentre non è stato rimosso il rifiuto del visto per la delegazione del Venezuela all’Assemblea. Chávez parlava fuori dai denti, aveva battezzato Bush come Mr. Danger e sosteneva di sentire puzza di zolfo nell’aula dove era presente.
E’ stato Evo Morales, presidente della Bolivia, ad incaricarsi di accusare davanti all’assemblea le prepotenze e le provocazioni degli Stati Uniti, chiedendo un tribunale popolare internazionale per giudicare Barack Obama per diritti di lesa umanità, portando come esempi i bombardamenti in Libia, la guerra in Iraq, la promozione di atti di terrorismo internazionale fino al finanziamento di gruppi terroristi. Morales ha detto che mentre in questo mondo c’è chi lavora per porre fine alla povertà, per ricercare la pace e la giustizia sociale, altre potenze promuovono la guerra, l’interventismo in altri Paesi e lo spionaggio massiccio violando la sovranità di altri stati. Gli Stati Uniti, ha denunciato Evo, hanno violato quattro norme: la Dichiarazione dei Diritti Umani, il Patto per i Diritti Civili e Politici, la Convenzione su Missioni Speciali e la Convenzione di Vienna sui Rapporti Diplomatici. E’ il caso, dice Morales, di cambiare la sede delle Nazioni Unite per porre fine all’arbitrarietà delle autorità migratorie nordamericane che negano a loro giudizio i visti di entrata, e portarla in un Paese che, contrariamente agli Usa, abbia ratificato i trattati dell’Onu.
Anche Ollanta Humala, presidente del Perù, ha posto una richiesta importante e che è in discussione ormai da qualche decennio, la richiesta di una riforma e di un ampliamento del Consiglio di Sicurezza affinché sia più rispondente alle realtà del terzo millennio; a questa richiesta si è unito il Presidente del Cile, Sebastián Piñera, anche se Piñera, come Humala e come i presidenti di Messico e Colombia hanno presentato la nuova associazione internazionale Alianza del Pacífico, voluta da Obama, allargata ad altri Paesi che si affacciano sul Pacifico, allo scopo di costituire un’alleanza utile per contrastare i Paesi dell’Alleanza Bolivariana (ALBA) e la scalata cinese in America Latina.
Anche l’anziano ed eccentrico Presidente dell’Uruguay, l’ex guerrigliero José Mujica, c’è andato giù pesante usando gli Stati Uniti come esempio dell’autodistruzione verso la quale si incammina la società contemporanea: “se l’Umanità consumasse come un nordamericano medio, ci servirebbero tre pianeti”, ha sostenuto, mentre se quel cittadino medio circolasse, come lui su un vecchio motorino e vivesse in una modestissima casa di campagna, ne basterebbe la metà di uno.
Su Cuba, il Presidente del Salvador, Mauricio Funes, ha ricordato che l’isola è parte dell’America Latina e che il lungo blocco a cui è sottoposta va abolito. Un paio di mesi prima, il vecchio Mujica, partecipando alle celebrazioni per il 60° anniversario dell’assalto alla Caserma Moncada, a Cuba, aveva spiegato perché la Rivoluzione cubana è, per l’America Latina, un punto di partenza: “Questa Rivoluzione, che è stata fondamentalmente la Rivoluzione della dignità, dell’autonomia per i latinoamericani, ci ha seminato di sogni, ci ha riempito di don Chisciotte. Abbiamo sognato che in 15, 20 anni era possibile creare una società completamente diversa e siamo sbattuti contro la storia; i cambiamenti materiali sono più facili dei cambiamenti culturali. I cambiamenti culturali sono, in fin dei conti, il vero cemento della storia e sono una semina molto lenta di generazione in generazione.[…] La Rivoluzione oggi, la parola Rivoluzione acquisisce una dimensione di carattere universale mentre il mondo si globalizza e questa dimensione è proprio l’idea che è possibile, che è una necessità storica, per mantenere e sostenere la vita, per lottare per creare un mondo migliore, di rispetto, di uguaglianza di base, senza paura di essere schiacciati, senza portaerei, senza aerei con un braccio lungo, senza gente, un mondo in cui sia possibile che l’uomo esca dalla preistoria, e uscirà dalla preistoria il giorno in cui le caserme saranno scuole e università”.