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La Sogin… nata per smaltire le scorie nucleari

di Salvo Ardizzone

La Sogin è una società sconosciuta alla gran parte di chi, pagando la bolletta, è costretto a foraggiarla alla grande senza sapere che fine facciano quelle centinaia di milioni. È nata dopo che, 26 anni fa, le otto centrali nucleari italiane vennero chiuse dopo il referendum dell’87. Le attività vennero fermate, ma si doveva trovare una soluzione alle scorie delle centrali e, visto che finalmente c’era l’occasione, una soluzione razionale allo stoccaggio di tutte quelle provenienti dalle attrezzature sanitarie d’indagine diagnostica. Sorvoliamo sul fatto che, all’italiana, non s’era pensato alla soluzione d’un problema ovvio nel momento di costruirle quelle centrali, ma tant’è.

Si costituì una società ad hoc, destinandole una fettina della bolletta, così i soldi, e tanti, non le sarebbero mai mancati; e soldi ne sono arrivati, negli anni a miliardi (come siano stati impiegati è altra storia).

Sia come sia, una società poco conosciuta, impegnata in un business così specialistico e con tanto denaro a disposizione, sembrava fatta apposta per gli appetiti d’una politica vorace. Per citare solo alcuni dei tanti (ma tanti!) esempi, nel 2003, Berlusconi, all’apice della sintonia con Putin, sigla un’intesa per lo smaltimento del combustibile di decrepiti sottomarini nucleari russi. Se ne occuperà la Sogin al costo di 360 ml di €; un buon affare, ma per Putin, visto che quella spesa è a carico dei contribuenti italiani. Si. Uscirà fuori dalle bollette che tutti noi paghiamo. Come pure l’opulenta sede di Mosca, con 20 (20!) dipendenti gratificati, oltre che dagli ottimi stipendi, da una super diaria.

Già, i dipendenti; allora erano addirittura 600, “eletti” fra i parenti, gli amici e da chi era già dentro; oggi sono arrivati a 900. Ma non sono queste le spese che definire “eccentriche” è un eufemismo: potremmo citare quelle pubblicitarie (che per una società pubblica, che ha per ragione sociale lo smaltimento di scorie radioattive è francamente singolare) come quella al Salone del Libro (!) alla Fiera di Milano, per un costo di 257mila €. Inspiegabile? No se si pensa che dietro l’iniziativa c’era un certo Marcello Dell’Utri, noto per il suo hobby di bibliofilo.

Quest’andazzo attirò finalmente l’attenzione del Tesoro, che fece dell’Amministratore Delegato Bolognini il capro espiatorio, e lo sostituì con Giuseppe Nucci, e, per aumentare il controllo, portò le poltrone del Cda da cinque a nove. Per comprendere la caratura tecnica di quelle nomine, sempre a mo’ d’esempio, basta considerare che una di esse andò a un politico pugliese dell’Udc, trombato alle elezioni del 2005, che aveva tuonato contro la Sogin per un progetto di stoccaggio di scorie a Scanzano Jonico. Il politico era quel Cosimo Mele, assurto poi alle cronache per essere stato beccato con due prostitute e coca in un albergo di Roma.

Comunque sia, nel 2006 torna al Governo Prodi, che azzera i vertici della Sogin e incarica Massimo Romano di bonificare il carrozzone: facile a dirsi! In ogni caso nel 2008 torna Berlusconi, che riazzera i vertici e richiama Nucci, con uno stipendio di 570mila €, e tutto riprende come prima.

L’andazzo è andato avanti fino al novembre scorso, quando per l’ennesima volta Letta e Saccomanni azzerano i vertici e mettono Riccardo Casale come Amministratore Delegato, regalandogli la gestione di una rogna colossale; a parte i 900 dipendenti, in gran maggioranza ammanigliatissimi, avrà da governate finalmente quello per cui la società era nata: lo smaltimento delle scorie nucleari delle centrali. Il piano avrebbe dovuto concludersi nel 2020, con una spesa ricalcolata di 4,5 mld; appunto, avrebbe, perché visto che allo stato attuale i lavori procedono con un avanzamento dell’1% all’anno (1%!), non si sa proprio quando si finirà, e ovviamente i costi sono destinati a salire, di tanto. A tutt’oggi la stima complessiva parla di 6,7 mld.

Quello della Sogin è l’ennesimo esempio di come la cosa pubblica in Italia, da troppi venga trattata alla stregua di un’occasione di saccheggio. Gestione d’azienda, principi di competenza, produzione di beni e servizi, sono tutte bazzecole per chi ritiene lo Stato cosa propria, da poter sfruttare a piacimento con l’arroganza di chi è convinto che sia un diritto, e la noncuranza del disastro che questi comportamenti hanno arrecato al Sistema Italia. Cioè a tutti noi.

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