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La siccità in California prepara forse un’altra Siria in America Latina?

di Cristina Amoroso

La California potrebbe rimanere “a secco” entro i prossimi 12 mesi, secondo quanto reso noto da uno scienziato della Nasa. Gli Usa avrebbero solo un anno di scorte nelle proprie riserve, e ciò a causa della siccità persistente, sostiene Jay Famiglietti, senior water scientist del Jet Propulsion Laboratory della Nasa. La notizia pubblicata recentemente in un editoriale del Los Angeles Times è passata praticamente inosservata dai media, eppure è importante e preoccupante per vari motivi.

La situazione è così grave, secondo lo scienziato, da richiedere l’immediato razionamento dell’acqua, cosa già presa in considerazione nel sud della California. Lo studio della Nasa ha concluso che il volume totale di acqua nei bacini dei fiumi Sacramento e San Joaquin, nello Stato della California è diminuita dal 2014 di 42mila milioni di metri cubi, il che significa un effetto devastante sull’economia di quel vasto Stato dell’Unione, dove l’immagazzinamento totale d’acqua, in declino dal 2002, è stato indebolito dalla necessità di utilizzare la preziosa risorsa per gli allevamenti.

Inoltre, secondo uno studio pubblicato a febbraio su Science, le previsioni della Nasa, della Cornell University e della Columbia Univeristy sono tutt’altro che rosee: una “Megasiccità” potrebbe durare molti decenni ed essere il fenomeno peggiore degli ultimi mille anni, attesa tra il 2050 e il 2099.

La grande enfasi, con cui lo scienziato afferma che “lo stoccaggio di acqua corrente in California potrebbe essere finito entro un anno”, e che le autorità devono attivare misure restrittive sull’uso di liquido immagazzinato in tutti i settori e permettere la formazione di agenzie di sostenibilità regionale, ha messo la pulce nell’orecchio di chi ricorda come i Paesi potenti – in primis l’impero americano – si siano comportati nel settore energetico: hanno lanciato guerre e manipolazione di governi docili per prendere il controllo dei giacimenti petroliferi esistenti in diverse nazioni.

In America Latina, quasi tutti i depositi erano sotto intervento degli Stati Uniti e altrove sono state avviate guerre violente di saccheggio per impadronirsi di petrolio e gas, come in Iraq, Libia, Siria e Sudan, per citarne alcuni.

Chi non ricorda la ricostituzione della IV flotta della U.S. Navy, che il governo degli Usa annunciò improvvisamente di ricostituire nell’aprile del 2008, dopo 58 anni di inattività? Non era stato forse l’annuncio nel novembre precedente della Petrobas, il colosso energetico brasiliano, che comunicava al mondo la scoperta di un immenso reservoir in prossimità della conca de Santos a circa trecento chilometri dalle coste di Rio? Per un quantitativo estraibile stimato tra i cinque e gli otto miliardi di barili?

L’unico problema era che il mega-giacimento di petrolio si trova a duecento miglia marine dalle coste brasiliane e, secondo la Convenzione di Montego Bay del 1982, il mare territoriale di uno Stato è costituito dalle dodici fino alle ventiquattro miglia marine. E alcuni Stati rivendicano la propria sovranità sulla zona economica esclusiva, di circa duecento miglia marine, a partire dalla linea di base. Di qui la rilevanza della flotta americana, che, secondo il comunicato rilasciato dall’ammiraglio Gary Roughead, capo delle operazioni navali,  è responsabile di tutte le navi, aerei e sottomarini operativi del U.S. Southern Command (Southerncom) nel mare dei Caraibi, l’America Centrale e le acque del Sudamerica. La notizia fece scalpore. Inoltre, alcuni mesi prima della sua costituzione, le forze militari degli Stati Uniti erano state accusate per l’istallazione di basi militari in Colombia e Perù.

Chi ci vieta di pensare che prima o poi nuove guerre avranno come sfondo le principali fonti d’acqua, a causa della scarsità dell’elemento fondamentale per la vita sul pianeta? E se la siccità delle terre californiane non fosse che un preludio di guerra in America Latina, considerato che la guerra per il petrolio è stata trasferita altrove e rallentata grazie alla rivoluzione del fracking?

La notizia porta in primo piano l’interesse evidente che negli ultimi anni hanno dimostrato gli Stati Uniti ad avere una maggiore presenza nella zona della Triple Frontera, del Sistema Acquifero Guaranì (Sag) che si estende dal nord del Brasile alla pampa argentina, stimato a 37mila milioni di metri cubi, ed ogni chilometro cubo è pari a 1 miliardo di litri.

Con 1,19 milioni di chilometri quadrati, composto da 850mila chilometri quadrati del Brasile (pari al 9,9% del territorio), 225mila in Argentina (7,8%), 70mila chilometri quadrati di Paraguay (17,2%) e 45mila chilometri quadrati di Uruguay, il 25,5% della superficie del Paese orientale le sue fonti potrebbero rifornire a tempo indeterminato 360 milioni di persone, mentre la popolazione attuale nella zona della falda acquifera è stimata a 17 milioni.

Non a caso la Triple Frontera (Argentina, Brasile e Paraguay) è stata “oggetto di preoccupazione” per il governo americano, perché ritenuta sede di membri di “gruppi terroristici” del Medio Oriente, in particolare Hezbollah e di mezzi finanziari illeciti. La regione sarebbe stata quindi un ricettacolo del “terrorismo internazionale” e quindi una minaccia alla sicurezza nazionale per gli Usa, che usano sempre lo stesso copione (Nicaragua, Venezuela) come preludio di aggressione. Ripetutamente, dopo l’11 settembre, altre agenzie statunitensi hanno avvertito dell’esistenza del terrorismo o del suo finanziamento nel settore Tripla Frontera, anche senza fornire prove concrete su queste accuse.

Si spiega perché i leader del Comando Sud dell’esercito degli Stati Uniti hanno mantenuto una presenza ciclica in quella regione. E’ molto significativo il fatto che una relazione della Central Intelligence Agency (Cia) ha dichiarato che entro il 2015 l’acqua sarà una delle principali cause di conflitto internazionale. Nel 1997, quando gli Stati Uniti tenevano le mani sopra governi latino-americani docili, diversi Paesi hanno aperto le loro porte alla Banca Mondiale, che passando per le università, ha iniziato a finanziare un certo numero di diritti di ricerca sul Sistema Acquifero Guaranì (Sag).

Durante il Quarto Forum Mondiale dell’acqua a Città del Messico nel marzo 2006, l’allora presidente della Banca mondiale Paul Wolfowitz  pubblicò un documento intitolato “Mirage on the Water”, dove dichiarava che il prestito della Banca Mondiale facilita solo la presenza di acqua a condizione che il servizio sia stato privatizzato. E’ il solito iter dei predatori, Banca Mondiale-Usa.

Con la recente informazione Nasa riguardante la scarsità d’acqua in California, i Paesi dell’America del Sud dovranno stare molto attenti a prevenire nuove minacce sulla falda acquifera Guaranì.

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