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La rivoluzione di Syriza e il possibile sostegno russo fanno tremare l’Europa

di Salvo Ardizzone

Il confronto fra il nuovo governo greco di Syriza e il blocco di potere che fin’ora ha controllato la Ue, sembra stia per saldarsi con quello che Bruxelles ha intrapreso con Mosca su mandato Usa. Ma andiamo con ordine.

La Grecia è stato il Paese più colpito dalla crisi inziata nel 2008; tra il 2010 e il 2012, ha ricevuto ben 240 Mld dagli altri Paesi della Ue, dalla Bce e dal Fmi, ma è stata costretta a sottostare a un dissennato programma di tagli ai salari, licenziamenti, pseudo riforme e privatizzazioni, che l’hanno letteralmente distrutta: fallimenti a migliaia, una disoccupazione al 25,5% (e chi è occupato è drammaticamente sottopagato) e circa il 35% della popolazione sotto la soglia della povertà.    

Come si sa, Syriza ha vinto le elezioni con un programma che prometteva la fine delle politiche imposte dalla Troika e la rinegoziazione dell’enorme debito pubblico; i primi passi concreti sono già andati in questa direzione. Nel primo Consiglio dei Ministri, Tsipras ha innalzato il salario minimo e bloccato la privatizzazione del Pireo, il porto di Atene, che stava per essere venduto alla Cosco Group cinese, contraddicendo precise prescrizioni della Troika. Inoltre, al presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem, venuto a tastare il polso del nuovo Governo, il ministro delle Finanze Varoufakis ha detto chiaro che la Grecia avrebbe posto fine alle politiche di austerità, avrebbe radicalmente riformato l’Amministrazione dello Stato e si rifiutava di accettare nuovi finanziamenti per pagare i debiti precedenti, praticamente insostenibili; ha concluso disconoscendo l’autorità della Troika.

In parole povere: tabula rasa di tutti i vecchi privilegi, lotta (seria) a evasori e speculatori, fine delle politiche che hanno distrutto un Paese e gettato i più deboli nella miseria, basta con i prestiti concessi solo per pagare le rate dei debiti precedenti, con l’unico risultato di dissanguare la Grecia e aumentare il debito.

È una posizione di rottura completa con chi regge le fila delle attuali politiche di Bruxelles e non si sono fatte attendere le minacciose dichiarazioni di Schauble (il ministro delle Finanze tedesco) e della Merkel: Berlino non accetta ricatti, i patti vanno rispettati, se non si atterrà alle disposizioni della Troika Atene non riceverà alcun aiuto e così via.

Ma aiuti finalizzati a cosa? A sostenere lo sviluppo? A sollevare le disperate condizioni del Popolo greco? No. A ripagare quel debito pubblico (322 Mld complessivi) per circa il 76% in mano ai Paesi della Ue (200 Mld), al Fmi (32 Mld) e alla Bce (26 Mld) e gli spaventosi interessi conseguenti. In questo modo il collasso sarebbe garantito e il cosiddetto “ordine nei conti” sarebbe l’ordine di un cimitero. Atene vuol porre fine a tutto questo rinegoziando quel debito spropositato per le dimensioni e le condizioni della sua economia, sospendendo la restituzione di rate e interessi e legandola alla ripresa del Sistema Paese.

Resta il fatto che le misure prese per dare sollievo a una popolazione stremata e rilanciare un’economia depressa costano: Tsipras le ha calcolate nell’immediato in circa 11,5 Mld, e al momento le casse sono praticamente vuote; di andare a prenderli sui mercati non se ne parla, perché la speculazione farebbe pagare ad Atene un prezzo spropositato, e allora? A parte le misure di lotta (vera finalmente) a spese parassitarie, evasione fiscale e privilegi (mai contrastati seriamente), c’è una via interessante che s’è aperta, e veniamo alla saldatura di questa vicenda con la contrapposizione fra la Ue e la Russia. 

Tsipras, che non ha mai fatto mistero d’avere una posizione critica verso la Nato e la grande base di Creta, nella prima riunione del Governo s’è detto contrario a nuove sanzioni contro la Russia. Il Consiglio dei Ministri degli Esteri della Ue di giovedì scorso, a cui ha partecipato il neo ministro Kotzias da sempre assai vicino a Mosca, ha prorogato di sei mesi le sanzioni già in vigore, ma ha rinviato alla prossima riunione dei Capi di Stato e di Governo in programma il 12 febbraio l’introduzione di sanzioni più stringenti proposto dal solito fronte pilotato da Washington. È stato un compromesso moderato in cui hanno giocato un ruolo sia l’Italia che diversi Paesi dell’Est Europa, con la Germania a giocare due parti nella commedia: duro con la Merkel, accomodante con il Ministro degli Esteri; ma è stato assai significativo il ruolo di Kotzias. Per promulgare sanzioni occorre l’unanimità e a questo punto la Grecia potrebbe mettere il veto, come ha già lasciato intravedere.

Il Cremlino ha accolto con estremo favore la posizione ellenica e giovedì scorso, in un’intervista, il Ministro delle Finanze russo Siluanov ha dichiarato che Mosca è pronta ad aiutare economicamente Atene; certo, la Russia è messa male sotto l’attacco concentrico della speculazione finanziaria pilotata da Washington e il ribasso del petrolio manovrato da Riyadh, ma 11,5 Mld sono pur sempre una cifra accettabile per Putin: in un colpo solo bloccherebbe il meccanismo dell’attacco che la Ue gli sta portando e indurrebbe un effetto domino sui governi dei vari Paesi membri dalle conseguenze inimmaginabili.

A novembre ci saranno le elezioni in Spagna (che non è una piccola nazione come la Grecia), se Tsipras dimostrasse che la sua politica non è un sogno velleitario, tirerebbe la volata a Podemos che bisserebbe il successo di Syriza, saldando un fronte a cui, dietro le quinte, andrebbero gli appoggi di tutti quelli che annaspano sotto i diktat di Berlino (Francia e Italia per cominciare). Tsipras lo sa e da martedì comincerà un viaggio che gli farà incontrare Renzi, Hollande e Cameron, per un appello all’Europa politica contro quella dei tecnocrati.

Se avrà successo, e l’aiuto di Mosca sarebbe vitale, tutto l’attuale assetto di potere che mantiene l’Europa inchiodata agli immediati interessi economici di Berlino e a quelli politici di oltre Atlantico, Nato compresa, potrebbe essere ribaltato.     

   

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