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La Nigeria ad un passo dalla catastrofe

di Salvo Ardizzone

La campagna elettorale con cui l’attuale Presidente della Nigeria cerca la rielezione il 28 marzo, è stata scandita dalle feroci proteste della folla nei suoi confronti e dai ripetuti massacri perpetrati da Boko Haram; ma, con buona pace di quanto raccontato da troppi media, non è la setta il nemico più pericoloso per l’improbabile Goodluck Jonathan e per la Nigeria, né il motivo di tutto il profondo e generale malcontento della popolazione verso il Governo.

A settembre i terroristi avevano trasmesso l’illusione di poter creare un embrione di entità statale nel Nord del Paese; allora, la spaventosa corruzione nell’Esercito e la collusione di molti politici nemici del Presidente, avevano creato un vuoto che le bande erano corse a riempire sognando una spallata in stile Isis.

È successo che gli eserciti di Ciad, Niger e Camerun, sotto la regia francese, stanchi delle sanguinose scorrerie compiute sul loro territorio, sono entrati in Nigeria infliggendo a Boko Haram sconfitte sanguinose e perdite ingenti, strappandole il controllo della gran parte dei centri conquistati. Anche l’Esercito nigeriano ha reagito alla fine e ora le bande si trovano in grave difficoltà, prese in una morsa sempre più stretta; per questo la setta, ormai incapace di azioni di più vasto respiro, ha intensificato la campagna di terrorismo urbano, che fa vittime ma aliena il favore della gente. La stessa affiliazione all’Isis di cui s’è tanto parlato, è più che altro un tentativo di fare cartello in un momento di estrema difficoltà.

Il pericolo vero per Jonathan è la situazione economica: oltre il 90% degli introiti della Nigeria provengono dall’export di petrolio e con le quotazioni dimezzate l’economia sta semplicemente crollando, con la naira (la moneta locale) che si svaluta, i capitali (per lo più opachi, ottenuti con i vari traffici sul greggio) in fuga e la borsa di Lagos, su cui tanto s’era favoleggiato negli anni passati, che si sgonfia come un palloncino perché, tra corruzione generalizzata e quadro politico disastroso, non offre alcuna garanzia agli investitori esteri.

Il suo sfidante alle elezioni è il generale Muhammadu Buhari, leader dell’opposizione; in Nigeria è assai conosciuto per essere stato presidente negli anni ’80 ed aver tentato più volte d’esser rieletto; stavolta, a meno di brogli colossali sempre possibili, per lui potrebbe essere la volta buona per almeno due ragioni. Buhari è un musulmano assai popolare nel Nord del Paese e, malgrado i tentativi dell’entourage del Presidente di presentarlo come un estremista, raccoglie consensi anche nel Sud cristiano, grazie alla sua campagna contro la corruzione, vista dai più come il problema che paralizza e dissangua la Nigeria. In secondo luogo, a favorirlo è l’assoluta inadeguatezza di Jonathan, che in questi tempi di crisi ha dimostrato tutta la sua inettitudine, e l’alone di corruzione che emana da tutto l’establishment del Governo.

La situazione del Paese è semplicemente drammatica, stretto com’è fra le stragi dei terroristi al Nord e la miseria che affligge la gran parte della popolazione di tutto il Paese; con ogni probabilità, chiunque sia eletto non riuscirà a mantenere nemmeno in parte le roboanti promesse sull’occupazione. Tuttavia, entrambi i contendenti dovrebbero riflettere sul fatto che Boko Haram è nata e s’è sviluppata in un’area col 71,5% della popolazione che vive in condizioni di povertà assoluta e oltre la metà di malnutrizione.

Con sul corpo i segni della fame e sulle spalle i soprusi, la violenza e la totale corruzione dello Stato e di coloro che lo dovrebbero rappresentare, per migliaia di disperati, soprattutto giovani, il passo per entrare nei network del terrore e della criminalità è breve.

Senza una lotta vera contro un sistema profondamente ingiusto, che al momento nessuno sembra in condizione di condurre, la Nigeria è destinata a implodere con conseguenze incalcolabili per la sua gente e per tutta l’area.

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