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La lenta ma costante crescita dell’Etiopia

di Salvo Ardizzone

Trent’anni fa l’Etiopia era uno degli Stati più poveri al mondo, dove ricorrenti carestie falcidiavano una popolazione che conviveva con la miseria; oggi festeggia il decimo anno consecutivo di una crescita a due cifre, prima assoluta fra i Paesi africani e fra i prime cinque al mondo, con una iscrizione alla scuola primaria vicina al 100% e 34 università.

Questo straordinario sviluppo è dovuto al buon senso di una classe dirigente che invece di rincorrere le chimere di un’industrializzazione artificiosa, ha concentrato le risorse disponibili (poche) da un canto sull’agricoltura e l’allevamento, antiche tradizioni del Paese, dall’altro sull’istruzione che ha fatto da supporto razionale ai programmi di crescita.

Il risultato è stato che la produzione è stata triplicata e si è raggiunta l’autosufficienza alimentare: per un Paese di 95 milioni di abitanti, con un’antica storia di fame, è un traguardo immenso. Certo, non tutti possono ancora avere una dieta salutare ed esistono vaste sacche di popolazione sul limite della sussistenza, ma la fame e gli stenti che falcidiavano intere regioni sono un ricordo del passato.

E ancora il buon senso ha fatto si che il Governo etiope non si sia fatto sedurre dall’imperante globalizzazione o dal vento del liberismo selvaggio che ha distrutto tante economie africane, svendendole alle multinazionali e all’avidità di cricche senza scrupoli. Per questo non ha sin’ora permesso l’ingresso di banche internazionali e gestisce il suo sistema finanziario attraverso 19 Istituti di credito nazionali, tutti privati ma strettamente controllati. Per questo ha permesso una forma di mercato libero, si, ma con regole precise che fanno decidere allo Stato quale economia applicare, non il contrario.

Il buon esito delle misure messe in atto, la capillare presenza dello Stato e soprattutto il sostanziale miglioramento delle condizioni della popolazione, hanno ridotto i fenomeni un tempo endemici ed estesi di banditismo e di violenza, facendo raggiungere al Paese un livello di sicurezza impensabile nella stragrande maggioranza degli altri Stati africani.

L’Etiopia non è ancora una democrazia compiuta, come ammettono i suoi stessi dirigenti; diritti umani, pluralità e libertà di stampa sono ancora lontani dall’essere conseguiti, e le istituzioni democratiche sono ancora carenti, con un’opposizione frammentata in una sessantina di partiti che insieme stentano ad arrivare al 10%. Ma sono enormi le sfide che attendono un Paese che solo da una manciata di anni si è posto in cammino.

Uno dei più grandi problemi è costituito dai rapporti con la vicina Eritrea, uno Stato serrato nel durissimo regime di Isaias Afewerki, che l’ha fatto precipitare al 182° posto su 187 nell’Human Development Index. La tensione fra le due Nazioni è costante e sono continui gli incidenti lungo il confine, anche perché i militari eritrei hanno l’ordine di sparare su chi tenta di fuggire dal Paese e quelli etiopici di coprire la loro fuga.

Proprio quel flusso continuo di disperati sta facendo dell’Etiopia uno dei primi Stati al mondo per accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, che ospita in 23 campi sempre più grandi dislocati in varie zone di confine e gestiti dall’Arra (Administration for Refugee Returnee Affairs) per conto dell’Unhcr. E non sono solo eritrei a finirvi, ma centinaia di migliaia di somali e sudanesi in fuga da guerre, fame e stenti inimmaginabili. Una massa che è sempre più difficile da ricollocare e che finisce per rimanere nei campi per anni ed anni.

Malgrado i suoi tanti e gravi problemi, i fenomeni di land grabbing, il tardivo sviluppo democratico delle Istituzioni, l’Etiopia si distingue comunque da molti altri Paesi africani che, seppur assai più ricchi di risorse naturali, continuano a mantenere le proprie popolazioni in una miseria senza sbocchi, aggravata da violenze senza fine.

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