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La Grecia di Kostas Sakkas tra diritti violati e crisi della democrazia

di Cristina Amoroso

Kostas Sakkas è un giovane greco di 29 anni, arrestato il 4 dicembre 2010 ad Atene nel quartiere di Nea Smirne, in un magazzino deposito di armi, facente capo alla formazione anarco-insurrezionalista “Cospirazione Cellule di Fuoco” (in greco Cnf).

Sakkas si definisce subito anarchico e il fermo si trasforma in custodia preventiva con l’accusa di essere membro delle Cnf e l’aggravante del possesso di armi. Non ci sono prove,  anzi, le stesse “Cellule” ribadiscono che il 29enne non è un loro membro. Ad aprile 2012 scade la detenzione ma la corte ordina una proroga fino al 4 giugno 2013, sulla base del codice penale greco, che prevede 18 mesi di carcere preventivo, estendibili fino a 30 in casi estremamente rari.

Il 4 giugno, avendo già raggiunto la sua durata massima legale in custodia cautelare, questa viene prorogata di altri sei mesi dalla Corte d’appello di Atene. Il giovane inizia uno sciopero della fame. Il 28 giugno un medico esamina Sakkas e constata la perdita di 13 chili di peso, mentre i colleghi parlano di possibili danni agli organi vitali. Dopo una serie di  proteste e manifestazioni contro la detenzione illegale e azioni di solidarietà la corte d’appello, l’11 luglio, finalmente decide di concedere a Kostas la cauzione a determinate condizioni, tra le quali il pagamento di 30mila euro, cifra inarrivabile per il giovane.  Intanto il ragazzo si è trasformato in un martire non solo per gli attivisti di Exarchia, ma anche tra la classe media che partecipa alla colletta lanciata dal centro sociale Vox per pagare la cauzione e che raggiunge quota 15.000 euro in pochi giorni.

Un mese intero in sciopero della fame: rispetto al ritmo degli sviluppi sociali più ampi in questi ultimi anni, la storia di Sakkas sembra procedere a ritmo lento, quasi pigro. Dopo tutto, sono state necessarie solo poche ore al governo greco per l’ordine e poi eseguire la chiusura della ERT, la televisione di Stato. La sua decisione di abbassare il salario minimo mensile lordo di € 586 è stata altrettanto rapida, insieme con l’introduzione selettiva di una settimana lavorativa di sei giorni e di tagli significativi alle prestazioni d’invalidità, portando ad un abbassamento del tenore di vita per migliaia di persone.

Mentre il Guardian denuncia in Grecia la grave crisi alimentare e la malnutrizione, ad oggi il peggior sottoprodotto dell’austerità, il governo di Samaras non rispetta le leggi europee sui diritti umani, l’ordine pubblico di uno Stato che è diventato di polizia è mantenuto dal ministro Dendias, appartenente ad un’ala di estrema destra, il nuovo ministro della salute, Georgiadis, appena nominato introduce il test Hiv obbligatorio, non solo una grave violazione dei diritti umani, ma un passo indietro per la salute pubblica: patologie come l’Hiv, l’epatite e la tubercolosi richiedono investimenti nei servizi sanitari, e non la polizia.

Per continuare con l’austerità i governi stanno calpestando tutte le regole democratiche, incamminandosi – non solo la Grecia –  verso l’autoritarismo. L’Europa rimane ad un passo dal collasso, ma non smette di utilizzare sempre i suoi rimedi tossici. Insistendo a finanziare fondi di salvataggio, vincolando la ricapitalizzazione diretta della banca ad un’unione bancaria che appare un miraggio e riproponendo fondi strutturali mai spesi per la crescita, l’Europa ha mostrato che l’unica soluzione con cui pensa si possa uscire dalla crisi è l’austerità. Di fronte all’impopolarità quasi universale a livello popolare, tuttavia, l’unico modo per continuare la sua applicazione è stata una tendenziale virata verso l’autoritarismo: circumnavigando le regole della democrazia, imponendo coalizioni di governo non tenendo conto del voto degli elettori e chiudendo le tv di stato, il tutto in nome della riforma e dell’efficienza, i governi europei sono di fatto entrati nell’ultima, la più pericolosa di tutte: la crisi della democrazia. E dopo?

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