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Globalizzazione e l’incalzante minaccia alla sovranità degli Stati

Il processo di globalizzazione sta ponendo in seria discussione i principi cardine su cui poggiava lo stato-nazione, primo fra tutti quello della cosiddetta “sovranità statale”, oggi più che mai condizionata trasversalmente. L’entità statale si candida a perdere quotidianamente – e in misura sempre crescente – grosse porzioni di autorità e competenze su quelli che erano i tradizionali ambiti del suo potere divenendo, conseguentemente, mera amministratrice ed esecutrice di decisioni adottate da quegli attori transnazionali le cui ambizioni di potere, orientamenti, identità e reti non sempre appaiono coerenti con gli interessi nazionali, risultando al contrario, molto spesso confliggenti.

Gli ambiti in cui questa tendenza si è prepotentemente affermata sono molteplici, tuttavia quelli più emblematici, sia per dimensioni che per importanza, sono quelli relativi alla politica monetaria e alla politica estera, entrambi fondamentali per le relazioni e i rapporti economici e commerciali che determinano il benessere di un popolo.

Stati impotenti

La tracotanza del fenomeno globalizzazione che tentiamo di descrivere è dilagante a tal punto che lo Stato non è più neppure all’altezza di affermare la sua linea su questioni appartenenti alla sfera dei “diritti fondamentali” dei suoi cittadini, quali salute e diritto al lavoro. Così accade che la Bridgestone, la più grande azienda di pneumatici e prodotti in gomma, con una videoconferenza di soli quattro minuti – “un segno intangibile della modernità liquida che tende a solidificarsi”, per dirla alla Bauman – pone gentilmente sul lastrico centinaia di lavoratori che vanno a sommarsi a quella miseria battezzata anni orsono  “questione meridionale”.

Il colosso mondiale di pneumatici riconduce le cause dello smantellamento dello stabilimento barese ad un calo della domanda che ha conseguentemente posto in crisi il settore, alla concorrenza dei paesi emergenti, alla penalizzante logistica e all’aumento dei costi energetici.

Dal quotidiano “Il Manifesto”, invece, trapela qualche indiscrezione secondo cui la scelta della Bridgestone potrebbe essere ricondotta a ben altre motivazioni quali, ad esempio, le innumerevoli cause di lavoro intentate dagli operai baresi per il riconoscimento dei benefici pensionistici previsti dalla legge 257/92 per chi ha lavorato con l’amianto (gli operai baresi sono, infatti, stati a stretto contatto per decenni con materiali tossici di lavorazione e scarti di produzione).

È dello stesso avviso anche l’Osservatorio Nazionale Amianto che ha sottolineato che dietro le ragioni economiche “ufficiali”, la scelta dell’azienda giapponese di chiudere lo stabilimento potrebbe essere stata dettata dalla necessità di scongiurare una vertenza giudiziaria come avvenuto nel caso dell’Ilva di Taranto o dell’Enel di Brindisi.

Autorità annientate dalla globalizzazione

Di fronte a tutto ciò le cosiddette “autorità”, prive ormai di qualsiasi autorevolezza, non possono che “inscenare” da un lato un triste boicottaggio del prodotto e dall’altro provare a percorrere le vie diplomatiche nel tentativo di salvare il salvabile o, quantomeno, la faccia. Inutile ribadire chi detiene il coltello dalla parte del manico e su di chi è puntata la lama. Inutile, inoltre, ricordare che quello di Bari non è certo il primo caso nazionale, tantomeno meridionale.

Ne costituiscono un chiaro esempio il caso FIAT, oppure il caso – meno conosciuto ai più – della compagnia danese MAERSK, che da un giorno all’altro ha lasciato il porto italiano di Gioia Tauro per trasferirsi in quello egiziano di Port Said. In particolare in quest’ultimo caso a farne le spese non sono stati solo gli operai, l’indotto e l’intera area già afflitta da numerosi problemi, ma anche l’intera nazione che ha perso quella prestigiosa centralità marittima sul Mediterraneo che era stata conferita al porto di Gioia Tauro, un porto “Hub” tra i più importanti a livello europeo, oggi ridotto ad una cattedrale nel deserto, difficile da riconvertire.

Sovranità nazionale contro globalizzazione

A fronte di ciò, occorre dunque fare una seria analisi sull’importanza di recuperare la sovranità nazionale, soprattutto in questo nuovo scenario geopolitico che sembra profilarsi. Sarebbe utile, infatti, instaurare un serio confronto con i nuovi attori emergenti, impostandolo su un piano di parità e non di subordinazione. Tale ruolo l’Italia può e deve giocarlo dal momento che questa vocazione si cela nei suoi cromosomi, per come del resto dimostra la storia del Paese.

di Santo Maria Scidone Dal Torrione

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