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Giornata mondiale di Gerusalemme

Come ogni anno, nell’ultimo venerdì del mese di Ramadan, mese di digiuno e preghiera per i musulmani, ci apprestiamo a celebrare la Giornata mondiale di Gerusalemme. Questa Giornata fu istituita dall’Imam Khomeyni nel 1979 onde sensibilizzare i musulmani e le persone libere di tutto il mondo in merito all’importanza che ha questa terra santa, per sollecitare la solidarietà e la vicinanza di tutti gli amanti della libertà e della giustizia del mondo verso il popolo palestinese ed invitare alla resistenza contro i crimini di Israele.

Questa data, simbolica, naturalmente non deve essere vista come una mera celebrazione retorica; essa ci consente (anche quando i mass media non ne parlano più) di attualizzare e di occuparci dell’irrisolto problema di Quds/Gerusalemme e dell’irrisolto problema israeliano e della conseguente mancata nascita di uno Stato palestinese dove tutti i cittadini godano di pari dignità.

Oggi vediamo, purtroppo, come la questione palestinese sia passata pressoché sotto silenzio, non ottenga più l’interesse che dovrebbe, mentre nostro compito è quello di favorire la conoscenza, la storia dei crimini che il popolo palestinese ha subito e continua a subire. Purtroppo, la convocazione alla mobilitazione per chiedere che i palestinesi abbiano uno Stato sovrano, ha subito negli anni numerosi alti e bassi. Abbiamo assistito a fiammate di entusiasmo e di mobilitazione popolare con raccolte di fondi per i profughi, manifestazioni, sit-in e altre attività, poi magari, per lunghi anni il silenzio attorno ai legittimi diritti del popolo palestinese. Questi fatti ci convincono ancora maggiormente dell’importanza della Giornata mondiale di Quds: quando si è coinvolti nella Resistenza la mobilitazione deve essere costante, non ci devono essere fuochi di paglia, e poi fredde gelate, non ci devono essere mobilitazioni costanti per un periodo e poi magari il silenzio ottenebrante per svariati anni. No, la mobilitazione perché possa nascere uno Stato palestinese forte, libero, armato e indipendente deve essere costante. Questo è il vero significato della Giornata di Quds!

Dove sono oggi, tutti quegli intellettuali europei che si facevano fotografare vicino a cumuli di immondizia nei campi profughi di questo martoriato popolo? Dove sono i militanti europei che fino a qualche anno fa erano in piazza per la Palestina? Tutto si è risolto laggiù? I palestinesi hanno finalmente uno Stato libero e indipendente che non viva delle elemosine dell’ONU?

No, lungi da noi dimenticarci della Palestina, dimenticarci delle sofferenza dei profughi palestinesi sparsi per mezzo mondo. Dimenticarci dei massacri di Sabra e Chatila, dei massacri compiuti dai sionisti in Libano e in altri paesi arabi.

La Palestina deve essere amata, abbracciata, non dimenticata, come se appoggiare la causa palestinese fosse una moda del momento, un vestito che si può cambiare quando cambia la stagione.

Come è possibile rimanere in silenzio riguardo al problema sionista? Alcuni oggi sono troppo preoccupati a spargere veleno contro la Siria, confinante proprio con la Palestina occupata, che non ha firmato un trattato di pace con l’entità sionista; sono tutti troppo occupati a raccogliere fondi da inviare ai terroristi ed alle milizie “islamiche” della Nato che in Siria compiono ogni genere di nefandezze.

Per questo la Giornata di Quds/Gerusalemme deve essere oggi, nel 2013, un segnale dichiarante che non cessiamo di sostenere la resistenza dei palestinesi affinché possano avere un loro Stato libero, sovrano, autonomo, con capitale Gerusalemme. La lotta per i legittimi diritti del popolo palestinese non può e non deve fermarsi.

Noi affermiamo che la bandiera della resistenza che idealmente l’Imam Khomeyni ha consegnato a tutti gli oppressi di questa terra è ancora in strette mani e che essa sventolerà un domani non molto lontano sulla Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, una Gerusalemme liberata.

Non possiamo non ricordare in questa sede, le parole che l’Imam Husayn a Kerbala, contro il califfo usurpatore Yazid, antesignano di tutti gli usurpatori che da Washington, Tel Aviv, Londra vampirizzano il mondo: “Non accetteremo mai l’umiliazione”.

La Giornata mondiale di Gerusalemme (Al-Quds) quindi, fu istituita per volontà della Guida della Rivoluzione Islamica dell’Iran, l’Imam Khomeyni, nel 1979, all’indomani della caduta della monarchia filoisraeliana che governava con pungo di ferro il paese persiano. La proclamazione dell’Imam coincideva a grandi linee con la chiusura dell’Ambasciata di Tel Aviv a Tehran. Era la prima volta che un paese del Vicino Oriente, dopo aver riconosciuto la legittimità dell’entità sionista, tornava sui suoi passi e interrompeva unilateralmente le relazioni diplomatiche. Oggi nel Vicino Oriente, paesi come l’Egitto, la Giordania e la Turchia intrattengono normali relazioni diplomatiche con il regime di Tel Aviv, tradendo così gli ideali della causa palestinese. Non a caso poi, nel comunicato ufficiale in cui l’Imam Khomeyni istituiva la Giornata mondiale di Gerusalemme, da celebrare in tutto il globo ogni ultimo venerdì del mese sacro di Ramadan, mese di digiuno e preghiera per i musulmani, possiamo leggere: “Israele sta bombardando in continuazione le case dei combattenti palestinesi ed i loro rifugi, soprattutto nel sud del Libano. Ci rivolgiamo ai musulmani del mondo, nonché ai governi dei paesi musulmani, affinché uniscano le loro forze contro Israele al fine di tagliare le mani degli aggressori e degli usurpatori della Palestina e dei loro sostenitori.” La causa palestinese allora come oggi rappresenta la madre di tutte le questioni, sia per i musulmani che per tutti gli uomini liberi del mondo. Senza la libertà per la Palestina e i palestinesi nessun essere umano coscienzioso potrà mai sentirsi libero. Ed è per questo che in diversi paesi europei, tra i quali l’Italia, anche i non musulmani partecipano alle celebrazioni di questa importante ricorrenza internazionale. La nostra libertà passa per la libertà di Gerusalemme e della Palestina.

L’Imam Khamenei, attuale Guida della Rivoluzione islamica dell’Iran, nell’ottobre del 2011, riguardo alla risoluzione del conflitto che da diversi decenni infiamma la Palestina e tutta la regione vicino-orientale, disse:

“La soluzione che propone la Repubblica Islamica dell’Iran per risolvere la questione della Palestina e per rimarginare questa vecchia ferita, è una proposta chiara e logica, basata sulla saggezza politica. Questa soluzione è accettata dall’opinione pubblica mondiale ed è stata presentata nel dettaglio precedentemente. Noi non proponiamo né la guerra classica con gli eserciti dei Paesi islamici né di gettare a mare gli ebrei immigrati, e nemmeno l’intervento dell’ONU o di altre organizzazioni. Noi proponiamo un referendum tra la nazione palestinese, che come ogni altra nazione ha il diritto di scegliere il proprio governo e i propri rappresentanti. Tutti i palestinesi indigeni, sia musulmani, sia cristiani, sia ebrei – ma non quelli immigrati – devono poter partecipare a tale referendum. Il governo che si insedierà allora deciderà della sorte degli immigrati. Questa è una proposta ragionevole che è accettabile dei governi e dai popoli indipendenti. Evidentemente nessuno si aspetta che gli usurpatori sionisti possano assecondare questa richiesta, ed è qui che comprendiamo l’importanza dei governi, dei popoli e dei movimenti che supportano la Resistenza. In primo luogo bisogna che alcuni governi del mondo islamico fermino gli aiuti al regime sionista; dopo che i musulmani sono scesi in piazza a scandire slogan contro i sionisti, anche i governi dovrebbero allinearsi al popolo e smetterla di sostenere questo regime. La prova dell’onestà dei governi musulmani dipende dal loro contributo concreto alla causa palestinese. Chi tra questi governi ha relazioni, nascoste o palesi, col regime sionista deve interromperle immediatamente. Non è considerato serio quel governante musulmano che a parole si scaglia contro il regime sionista, ma il suo governo intrattiene relazioni diplomatiche col regime di occupazione sionista”.

Il capo della resistenza libanese Sayyed Hassan Nasrallah invece, riguardo all’importanza del movimento dell’Imam Khomeyni per la lotta all’occupazione sionista, ebbe modo di dire:

“Prima della vittoria della Rivoluzione (in Iran) grazie alla guida dell’Imam Khomeyni, la nostra regione (vicino-orientale) si era trasformata in una zona di forte depressione e disperazione, con l’entità sionista che aveva occupato molte terre islamiche oltre la Palestina, come il Libano, la Siria e la Giordania. I governi arabi giunsero alla conclusione che con Israele era impossibile combattere, bisognava quindi arrendersi e parlare di accordi. Loro non aspettavano altro e volevano che si creassero le condizioni per le trattative di pace. Anche i popoli erano orami rassegnati. Da un lato la tirannia dei regimi arabi sui propri popoli, e d’altro canto l’introduzione della cultura anti-islamica che si insinuò nei popoli arabi, provocarono una grande depressione. Non c’era nessuno che potesse avere la forza di dire che con Israele si può ancora lottare. Nessuno diceva che si può resistere a Israele. Questo stato può essere sconfitto. La region e i popoli arabi aspettavano una prospettiva di questo tipo. Se le cose continuavano in quel modo però, tutti si sarebbero arresi, sia i popoli che i governi. In quella situazione perfino l’OLP, guidata da Arafat, era giunta alla conclusione che bisognava trattare; essi stavano cercando delle scuse per arrivare a quel punto. Ormai nessuno parlava di sconfiggere Israele, e se qualcuno proponeva idee di questo tipo, gli avrebbero detto che era pazzo. Sembrava una cosa surreale. Ma in quel momento ci fu la vittoria della Rivoluzione islamica dell’Iran. Si creò una grande forza per l’Islam. Nella regione e nel mondo cambiarono molte cose da quel momento. Molte persone, da diverse zone del mondo, anche dalle più lontane, e anche la nostra gente, ovvero in Palestina, in Libano e in Siria furono influenzate dalle idee dell’Imam Khomeyni. Noi sappiamo bene che i deboli, gli umiliati, gli oppressi, aspettano sempre un segno e una dimostrazione divina di vittoria. Questo segno fu la Rivoluzione islamica dell’Iran. Ciò portò a grandi cambiamenti nella regione. Prima di tutto il cambiamento fu culturale. Il modo di pensare, l’operato, il linguaggio, stava cambiando molto dopo la Rivoluzione dell’Imam. Questa fu una cosa fondamentale.”

Lo stesso capo di Hezbollah si espresse, in un’altra occasione, in modo abbastanza pessimistico sul cosiddetto processo di pace:

“Inizierò con la Conferenza di Madrid del 1991. Ricordiamo tutti quando gli statunitensi, dopo l’“Operazione Desert Storm”, cambiarono gli equilibri politici nella regione e nel mondo. Gli Stati Uniti erano diventati l’unica superpotenza. Per la prima volta delegazioni di tutti i paesi arabi, inclusi Libano e Siria, si sedettero allo stesso tavolo. Grandi cambiamenti erano avvenuti a livello regionale e globale, e dall’altra parte l’Amministrazione USA del tempo aveva dichiarato la propria determinazione a raggiungere quella che essa chiamava una “pace completa e giusta”, e che noi chiamiamo un compromesso imposto. Come risultato di ciò, molte persone ritenevano – sembrava piuttosto un consenso unanime nella nostra regione – che ci trovavamo ad un passo da un compromesso. Un compromesso dal quale non vi era modo di sfuggire, perché gli statunitensi avrebbero imposto le loro condizioni a tutti i paesi coinvolti. Quel giorno mi ricordo che l’Imam Khamenei aveva un’opinione che era differente a questo apparente consenso (…) Egli disse che questa Conferenza non avrebbe raggiunto alcun risultato, che questo accordo non si realizzerà e che gli USA non saranno in grado di imporre un compromesso ai governi e popoli di questa regione. Oggi, dopo circa venti anni, sentiamo parti che hanno partecipato ai colloqui e personalità presenti alla Conferenza di Madrid, e che continuarono poi i negoziati, parlare di due decenni di delusione, frustrazione, fallimento e perdita di tempo quali risultati di quelli che vennero chiamati “negoziati”. Ognuno di noi ricorda, nel 1996, il grande cambiamento avvenuto nelle negoziazioni israelo-siriane. Si parlava dell’affidabilità di Rabin (allora primo ministro israeliano, n.d.t.) e della sua volontà di ritirarsi – come aveva dichiarato allora – entro i confini del 4 giugno 1967. Ovvero dalle alture occupate del Golan fino ai confini del 4 giugno 1967. Una posizione prevalse nella nostra regione – in Libano, Siria e Palestina, in Giordania, Egitto e nell’intera area: tutti iniziarono a dire che una soluzione sarebbe stata raggiunta, specialmente perché nel 1993 erano stati siglati gli accordi di Oslo, e l’Autorità Palestinese continuava la strada dei negoziati. Con l’Egitto era già tutto sistemato. La Giordania faceva il ‘Wadi Araba’ (tratto di pace con Israele), l’Autorità palestinese gli Accordi di Oslo. Rimanevano quindi [solo] Libano e Siria. La principale condizione per raggiungere un accordo tra Israele e Siria era la decisione di Israele di ritirarsi entro i confini del 4 giugno. Isaac Rabin rilasciò una dichiarazione al riguardo. Le cose volgevano quindi alla loro fase finale. Rimanevano soltanto alcuni dettagli che attraverso pochi altri incontri di negoziazione sarebbero stati risolti. Ricordo che questa era l’atmosfera prevalente. Molti, provenienti da differenti paesi, iniziarono a dirci: “Non stancatevi – voi sapete che nel 1996 la Resistenza era in un crescendo esponenziale -, le questioni sono state concluse, e non c’è più motivo di sacrificare altro sangue e martiri, fare combattimenti, confronti e sacrifici.” Ci veniva addirittura detto di ordinare i nostri progetti sulla base di questo compresso che era ormai stato raggiunto, e ci invitarono perfino a rivedere la nostra esistenza non solo come movimento di Resistenza, ma anche il nostro nome, struttura, discorso e programma politico, e iniziare a pensare a cosa fare con le nostre armi e il potenziale militare di cui disponevamo a quel tempo, ecc., sulla base che la questione era ormai conclusa. Ovviamente, a quel tempo, ogni errore nella valutazione avrebbe avuto serie conseguenze, perché se la Resistenza avesse perduto la sua visione e sentiero, o cessato le proprie attività, allora ciò che è stato raggiunto dopo il 1996 non sarebbe stato raggiunto. Mi riferisco alla vittoria nel 2000.”

Da queste affermazioni emerge con chiarezza come l’unica via percorribile per risolvere la questione palestinese e l’occupazione sionista sia la lotta, quella lotta che non solo è umanamente e divinamente accettabile, ma addirittura sancita come legittima anche dal diritto internazionale, in base al principio dell’autodeterminazione dei popoli. Israele ha violato più volte il diritto internazionale. Che tipo di dialogo si può intrattenere con questa entità? E’ stato il dialogo a liberare il Libano nel 2000? E’ stato forse il dialogo a fermare i sionisti nel 2006 in Libano? E’ stato forse il dialogo a fermare i sionisti nel 2008 a Gaza? No, è stata la Resistenza, quella stessa Resistenza che oggi, dall’Iran fino al Mediterraneo si è fatta promotrice della causa palestinese, e della liberazione della Palestina e di Gerusalemme. Questa ricorrenza, la Giornata mondiale di Gerusalemme, serve proprio a non dimenticare questi principi fondamentali per la causa degli oppressi del mondo.

A cura dell’Associazione Islamica Imam Mahdi

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