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La politica Usa nel 2016, fra l’agenda di Obama e le Agenzie federali

di Salvo Ardizzone

Il 2016 sarà un anno elettorale per gli Stati Uniti, con un Presidente ormai a fine mandato e senza l’assillo della rielezione, impegnato più che altro su obiettivi mediatici di breve, brevissimo periodo, tali da fare presa su un’opinione pubblica abituata a seguire gli impulsi emotivi del presente, ed abbellire così l’eredità politica dei suoi due mandati.

A gestire la politica estera a Stelle e Strisce penseranno le Agenzie federali: diplomazia, Pentagono e intelligence, con un approccio da ordinaria amministrazione che le metta al riparo sia da fallimenti clamorosi di cui sarebbero chiamate a rispondere dalla nuova Presidenza, sia da successi che non avrebbero l’autorità di gestire.

Il fatto è che le due agende, quella presidenziale e quella delle Agenzie, diciamo dello “Stato profondo” Usa, divergono sostanzialmente nelle quattro aree al centro dell’interesse americano.

Capovolgendo in parte le sue storiche priorità, Obama vorrà porre al centro della sua azione il Medio Oriente e la contrapposizione alla Russia, perché temi assai più vicini e comprensibili dall’americano medio. Di contra, per l’apparato Usa, sono l’Europa e soprattutto l’Asia Orientale con il Pacifico le aree dove sono in gioco i reali interessi a Stelle e Strisce: la prima, perché è rimasta l’ultima macroregione dove Washington è ancora capace d’imporre la propria influenza ed egemonia; la seconda, perché è laggiù che si gioca la partita decisiva contro la Cina, l’unico competitor globale.

Intendiamoci: Obama non ha alcuna intenzione di impantanarsi nel ginepraio mediorientale, né tantomeno di distruggere l’Isis come va proclamando, troppo forte la sua convinzione che gli Usa debbano mirare a mantenere un equilibrio fra le potenze dell’area (Israele, Arabia, Turchia ed Iran), riservandosi d’intervenire solo per evitare l’eccessivo prevalere di una di esse. E l’Isis è considerato uno strumento troppo prezioso per ostacolare la stabilizzazione dell’area, che vedrebbe emergere un assetto che stravolgerebbe un simile disegno.

Va semplicemente “contenuto”, magari con qualche colpo a effetto da dare in pasto all’opinione pubblica, come la spettacolare uccisione di capi subito sostituiti. Ed è in questa ottica che devono essere visti i raid mediatici quanto inconcludenti e l’invio di Special Forces, che assicurano comunque una presenza Usa nell’area.

Al contempo, vorrà rafforzare l’offensiva economica e politica contro la Russia, anzi, contro Putin, che incarna bene l’avversario agli occhi dell’elettore medio americano, e senza badare alle conseguenze che l’esasperazione irragionevole di un tale confronto possa comportare per gli equilibri internazionali.

Rinnegando se stesso, sarà assai meno attento all’Asia-Pacifico a cui ha dedicato sette anni di sforzi, perché la competizione con la Cina è ancora poco sentita dagli americani, e non può portare risultati visibili nel breve periodo.

Allo stesso modo, all’Europa chiederà, senza troppa convinzione, di legarsi agli Usa con il Ttip e più fortemente di accogliere i rifugiati che vi si riversano da un Medio Oriente che tanto ha contribuito a destabilizzare. Sarà un modo per indebolire la coesione politica di un’area e mettere sotto pressione Angela Merkel, impedendole quella libertà di manovra tanto temuta verso la Russia. Due dossier entrambi molto lontani dal sentire comune americano, ma che non mancheranno d’avere effetti negativi sull’Europa.

All’establishment Usa toccherà frenare le sortite di Obama e impedire che si producano fratture difficili da sanare dopo e impossibili da gestire senza una Presidenza che se ne assuma la responsabilità.

Per le Agenzie statunitensi rimarrà l’Asia-Pacifico il fronte principale, con l’obiettivo di contenere la Cina e rassicurare i Paesi rivieraschi sull’appoggio americano, ma senza rischiare qualsiasi incidente che possa far scoppiare una crisi con Pechino.

Sul fronte europeo, gli sforzi saranno destinati a innalzare una cortina che separi Mosca da Berlino, un’alleanza strategica che preoccupa gli analisti tanto quanto le ambizioni cinesi. In questa ottica si manterrà il contenimento di Mosca incoraggiando l’ostilità contro di essa dei Paesi dell’Est Europa, e si moltiplicheranno le pressioni perché vengano mantenute le sanzioni, ma senza tentare mosse arrischiate e tanto meno auspicare una destabilizzazione della Russia attraverso un’intensificata guerra economica, eventualità che invece non dispiacerebbero affatto a Obama, ma che nessuno, in questa fase di sede vacante a Washington, sarebbe in grado di gestire.

Da ultimo rimane il Medio Oriente, sempre più lontano dagli interessi essenziali Usa, dove i funzionari proveranno a gestire la situazione lasciando che siano le potenze locali ad agire, intervenendo solo per impedire che qualcuna di esse prenda nettamente il sopravvento egemonizzando l’area. Un approccio difficile quanto improbabile visto lo snodarsi degli eventi, ma l’unico rimasto in mano a Washington.

Da questo gioco delle parti deriverà una linea politica a tratti contraddittoria, più mediatica ed assai meno ambiziosa, certamente concentrata sul momento e sul mantenimento dello status quo. Attenta più che altro a sfruttare errori e debolezze degli avversari piuttosto che spendersi per determinare gli eventi; un gioco di rimessa che solo un fatto eccezionale, tale da scatenare la massiccia ondata emotiva dell’opinione pubblica Usa, potrebbe indurre a cambiare.

Al di là della narrazione dei media, che continueranno ad inondare il pubblico con notizie di comodo, gli Stati Uniti limiteranno ogni vera iniziativa in attesa della prossima Amministrazione. Ma fra un anno, con tutta probabilità, per come ha preso a correre la Storia, quella che la nuova Presidenza troverà sarà una situazione del mondo sideralmente diversa, e a ben poco potranno valere gli sforzi per ribaltare il corso degli eventi.

Quello che fa specie constatare, è che fra tutte le aree del globo solo in Europa, al di là della disgregazione delle strutture senz’anima della Ue, non s’intravede alcuna voglia di riscatto dal servaggio di Washington, che continua e continuerà ad imporre il suo dominio.

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