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La crisi economica europea e il nuovo piano Draghi

di Salvo Ardizzone

L’Europa è in fase recessiva, strangolata dall’ossessione dell’austerità e dall’inettitudine della sua classe dirigente; nei casi migliori le economie rasentano la stagnazione, ma a costi sociali altissimi (vedi il guadagno!); di crescita reale, di sviluppo della società neanche a parlarne malgrado i soliti bla bla dei vari soloni.
La Bce, come abbiamo detto di recente, malgrado s’accorga – eccome! – dei pericoli, ha le mani legate da regolamenti ottusi, in più è sotto il pressing asfissiante della Bundesbank, la cui stella polare è l’interesse esclusivo di Berlino; ma stavolta sembra che abbia deciso di rompere gli indugi.

Draghi è uomo della Finanza mondiale, anzi, ne è uno degli attori più di prestigio, ma pur appartenendo a quel mondo, anzi, proprio per questo, a lui non interessa che la Ue divenga una colonia tedesca a costo di collassare, piuttosto il contrario; a lui interessa che le economie dell’Europa si sollevino dall’abisso e tornino un mercato interessante con cui il mondo possa fare affari.

Sia come sia, ad Amsterdam, cogliendo l’occasione del bicentenario della Banca Centrale Olandese, ha tracciato un programma deciso e intende usare tutto il suo potere istituzionale e personale (che è tanto) per attuarlo. Al di là delle parole di circostanza, d’obbligo in quella sede, ha preso di petto la situazione indicando i pericoli gravi che incombono e gli strumenti, ordinari e no, che intende usare per affrontarli. Intendiamoci, non è che abbia scoperto qualcosa di nuovo, ma, compreso che non si può più aspettare, è nuova la fredda determinazione di procedere.

I problemi sono sempre gli stessi e s’avvitano l’uno sull’altro: abbiamo un Euro che è troppo forte, sopravvalutato per la maggior parte delle economie; certo, per la Germania è il contrario, e tenendoselo stretto gode d’una svalutazione competitiva che aiuta la massa delle sue esportazioni, ma per quasi tutti gli altri (Italia in testa) è l’opposto; abbiamo una stretta creditizia (il credit crunch) che fa mancare l’ossigeno alle imprese; siamo in piena deflazione: priva di stimoli e con i consumi fermi l’economia s’è fermata, e dopo i sacrifici di questi anni si corre il rischio d’una ricaduta definitiva.

Per quanto riguarda l’Euro, il tasso di sconto della Bce è già bassissimo, lo 0,25%, ma per puntare a un cambio meno forte, Draghi, per la prima volta, intende arrivare anche a tassi negativi, e questo la dice tutta sulla sua determinazione.
Per quanto riguarda il credit crunch, già nel 2010 e nel 2011, nel giro di 3 mesi, ha pompato oltre mille mld di € alle banche tramite i programmi Ltro (piano di finanziamento a lungo termine) che ora gli Istituti di Credito stanno rimborsando. Ma come abbiamo detto molte volte, quei soldi servirono soprattutto a comprare i titoli sovrani degli Stati che si trovavano sotto un selvaggio attacco della speculazione (sostituendosi alla Bce che non poteva farlo), e calmierare i mercati; inoltre furono l’ancora di salvataggio a cui s’aggrapparono, perché, chi più, chi meno, avevano in pancia montagne di titoli tossici. All’economia reale arrivò assai poco. Ma da allora molte cose son cambiate; da tempo la speculazione s’è ritirata dai nostri mercati (anche perché proprio la liquidità pompata dagli Ltro è stata in gran parte usata contro di lei, e le ferite sono state tante), inoltre le banche da tempo son state costrette dalla Bce a ripulirsi, e in qualche modo stanno certo meglio.

Adesso, finite le tensioni sui mercati e messo sotto controllo il sistema creditizio tramite l’Eba (l’autorità centrale di controllo bancario), Draghi pensa ad un nuovo Ltro, ma con meccanismi che vincolino gli Istituti a indirizzare corpose parti di quelle somme all’economia reale attraverso prestiti alle imprese.
Ma c’è ancora una misura innovativa: il Quantitative Easing, ovvero l’acquisto di titoli da parte della Bce; abbiamo già detto altrove che il suo lo statuto le impedisce nella sostanza di acquistare titoli del debito sovrano che gli Stati dovessero emettere per finanziare i propri programmi di sviluppo, come hanno fatto tranquillamente Washington, Londra e Tokyo. Può acquistare solamente Abs (Asset Backet Secuties), titoli collaterali emessi su quel debito, e su questo anche la BuBa s’è dimostrata favorevole, perché sa bene che in Europa è un mercato asfittico, che muove capitali limitati.

Ma, incassata l’apertura tecnica sullo strumento, Draghi pensa ad altro e l’ha detto: punta ad acquistare i debiti che le banche hanno in pancia, magari vecchie esposizioni di difficile riscossione e che ne limitano notevolmente la capacità di erogare crediti. Certo, ci dovranno essere delle modifiche normative per affinare una complessa operazione di “cartolarizzazione”, ma le ha già pronte, e la situazione gli permette di forzar la mano a chi non lo vorrebbe.
Le due azioni concomitanti: abbassare l’esagerata forza dell’Euro (aiutando le esportazioni) e pompare liquidità nel sistema Europa (dando ossigeno al sistema produttivo), stimolerebbero l’economia strappandola della stagnazione.

Certo, per quanto riguarda l’Italia, occorre poi fare i conti con l’incapacità dei politici e il loro dilettantismo, l’ottuso egoismo della burocrazia, la rapacità del sistema creditizio, l’arretratezza di parte del sistema produttivo, l’inadeguatezza di infrastrutture su cui da troppo tempo s’investe poco e male, la carenza di progettualità serie, la difficoltà di fare sistema… e continueremmo ancora a lungo. Fa masticare amaro pensare che, per sopravvivere, siamo legati a Draghi.

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