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Chiesa di Bergoglio si mette in gioco per la Pace

Dopo molto tempo, la Chiesa s’è rimessa in gioco sulla scena della diplomazia mondiale, spendendosi per la causa della Pace, ma quella con la “P” maiuscola.

Ai primi di settembre dell’anno scorso, l’attacco alla Siria era ormai deciso: si stava ricomponendo lo stesso fronte della Libia e, ancora prima, dell’Iraq. La strage di Ghouta, il quartiere di Damasco sottoposto a un attacco chimico, sbrigativamente attribuito all’Esercito Siriano (e che ora prove schiaccianti analizzate dal Mit attribuiscono ai “ribelli”), aveva dato lo spunto. A dire il vero, per una volta gli Usa parevano riluttanti a far partire gli aerei, ma per Obama era difficile tirarsi indietro nel coro interessato che si levava, Francia e Turchia in testa e la solita Arabia Saudita dietro a spingere coi petrodollari.

Papa Bergoglio era stato eletto da pochi mesi, non poteva contare neppure sulla collaborazione d’un Segretario di Stato (Parolin sarebbe stato nominato dopo), ma non ha esitato a intestarsi e condurre personalmente l’azione.

La giornata di digiuno del 7 settembre fu un evento di grande impatto, spirituale, certo, ma anche squisitamente politico, riuscendo a saldare il generale consenso di un ampio fronte internazionale, religioso e laico. Anche al–Din Hassun, gran Muftì di Damasco, personalità d’assoluto prestigio e rilievo nel mondo sunnita, s’è unito lodando l’iniziativa (e aprendo grandi ambiti di dialogo per il dopo).

Ma Bergoglio non s’è fermato a questo: in quei giorni ha intessuto contatti con numerosi leader, si è espresso pubblicamente con diversi tweet, mentre, in assenza d’un Segretario di Stato, incaricava Monsignor Mario Toso (segretario del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace) d’intervenire senza mezzi termini: “la violenza aggiunta alla violenza non avrebbe spento la guerra; avrebbe rischiato invece di farla estendere in un incendio assai più grande, coinvolgendo altre nazioni”. Infine s’è riservato il gesto finale: una lettera personale per Putin, nella qualità di Presidente del G20 che era in procinto di riunirsi (e nettamente contrario a quell’attacco).

In quella sede, con tutte le Potenze riunite, l’attività del Papa da un canto ha dato un’efficace giustificazione a frenare a chi entusiasta non era già di suo (vedi Obama); dall’altro, con il parallelo lavorio della diplomazia, ha spinto tanti altri ad opporsi, mettendo nell’angolo chi, fino all’ultimo s’era intestardito nel dare il via alle bombe (vedi la Francia, sospinta dai petrodollari sauditi, che, con il suo ridicolo dossier di nove pagine zeppe di nulla, s’è trovata isolata e costretta a fare marcia indietro).

È stato un successo indiscusso, ma per Bergoglio non s’è trattato d’un fatto personale, né episodico; Papa Francesco aveva (e ha) in testa un’agenda precisa ed ha continuato a svolgerla senza fermarsi. Ricevendo un messaggio personale di al Assad e i suoi emissari, ha insistito per la sicurezza delle minoranze cristiane (troppo spesso in balia delle parti in conflitto) avendone le più ampie rassicurazioni. Con un intervento affidato al Cardinale Tauran, ha aperto ad un coinvolgimento dell’Iran nei colloqui di pace sulla Siria di Ginevra 2, lucidamente consapevole che è impossibile un dialogo costruttivo senza quel soggetto fondamentale nell’area. Tramite varie dichiarazioni, e numerosi articoli ispirati all’Osservatore Romano, ha tracciato una linea che parla di cessate il fuoco immediato, organizzazione di aiuti umanitari alla popolazione, apertura di corridoi sicuri per i rifugiati e mantiene alta l’attenzione sul problema.

L’apertura viene subito accolta dall’ambasciatore di Teheran Rabbani, che in termini chiari, mentre critica i Governi Occidentali che a Ginevra hanno inutilmente tentato di perseguire i propri interessi, definisce la Santa Sede un interlocutore credibile e autorevole; vale a dire un mediatore affidabile e stimato.

È in questa chiave che andrà visto il viaggio del 24–26 maggio in Terra Santa, che lo vedrà ad Amman, a Betlemme e in Giordania; non sarà un semplice pellegrinaggio: toccando i punti nevralgici di una piaga aperta (Giordania, Territori Palestinesi, Israele), con lo sfondo immediato di Libano e soprattutto Siria, tratterà i temi scottanti delle minoranze cristiane con il prestigio e il peso dimostrato; parlerà del dramma dei milioni di profughi dell’area e dei loro diritti troppo spesso calpestati e medierà fra le tante anime delle Chiese Orientali, che si dividono anche aspramente.

Francesco ha dimostrato coi fatti d’essere un Papa di Pace, ma quella vera e non ipocrita, e che per essa sa scommettersi e battersi; un Papa che ha un’agenda concreta che parla di dialogo fra popoli e religioni, di impegno, di giustizia sociale e attenzione per gli ultimi. Il Papa della Chiesa che, credenti o no, vorremmo.

di Salvo Ardizzone

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