Khashoggi inghiottito dal Regime saudita
Il 2 ottobre Jamal Ahmad Khashoggi, 59 anni, dissidente saudita e colonnista del Washington Post, uno dei più noti criteri dell’istituzione del suo Paese, dal quale è fuggito nel settembre 2017, scompare improvvisamente. La compagna Hatice Cengiz, cittadina turca, dichiarata che l’uomo è iscritto al consolato dell’Arabia Saudita di Konaklar Mahallesi, nel quartiere di Beşiktaş, a Istanbul, in Turchia, verso le una del pomeriggio. Alle cinque, orario di chiusura del consolato, non è ancora uscito dall’edificio. La Cengiz allerta la polizia. Il “caso Khashoggi” inizia così, in un giorno di ottobre, a Istanbul, prima di una compromissione sempre più grande dei già precari rapporti politico-diplomatici tra Ankara e Riyadh .
Il 9 ottobre, il New York Times rende nota la notizia secondo la quale il giornalista sarebbe stato ucciso all’interno del consolato, “su ordine dei più alti livelli della corte reale saudita”. La ricostruzione dei fatti, esposta dai funzionari di sicurezza turchi, parla di una complessa operazione durante la quale Khashoggi sarebbe stato temporaneamente, nell’arco di due ore dal suo arrivo, da un team specializzato di agenti sauditi, servitisi poi di una motosega per smembrare l’ingombrante corpo.
I sauditi, incluso il delfino Mohammed bin Salman, smentiscono le accuse, sostenendo che Khashoggi abbia lasciato il consolato poco dopo esservi entrato, assicurando agli apparati turchi la possibilità di condurre ricerche e indagini in loco, in quanto “non hanno nulla da nascondere”. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, a tal proposito, si dichiara “addolorato” e chiede espressamente alle autorità saudite di mostrare prove a sostegno della loro affermazione.
Intanto, nuove indiscrezioni sembrerebbero portare a galla scomode verità: Khashoggi sarebbe stato conscio dei possibili rischi da lui corsi nell’addentrarsi nell’edificio di Konaklar Mahallesi, tanto da affidare alla compagna un numero da contattare nel caso non fosse ritornato da lei. Fonti del governo turco parlano, inoltre, di una delegazione saudita composta da 15 agenti di sicurezza, che avrebbe pattugliato e presieduto la zona nelle stesse ore della scomparsa del dissidente; e di un convoglio che avrebbe lasciato il consolato poche ore dopo l’entrata di Khashoggi, quel martedì 2 ottobre. L’uomo si era recato sul luogo in quella data su esplicita richiesta dei funzionari, al fine di completare le procedure di domanda riguardanti una questione familiare non meglio specificata, forse pratiche matrimoniali.
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“Le sue critiche, ampiamente diffuse negli ultimi anni, colpiscono Mohammed bin Salman, nominato principe ereditario lo scorso anno, promotore di una campagna atta a stroncare il dissenso e, allo stesso tempo, di un’opera di presunta modernizzazione del Paese”, riporta l’editoriale del Washington Post realizzato in occasione della scomparsa del giornalista.
Khashoggi e il “Triangolo del male”
Un affare nebuloso ed oscuro, un attentato alla libertà di opinione ed informazione, destinato a tramutarsi in ben altro, configurandosi quale arena di conflitto tra due colossi della regione: Turchia e Arabia Saudita. Dall’asse economico e militare con il Qatar al sostegno ai Fratelli Musulmani egiziani, passando per i rapporti con l’Iran: tanti sono i temi geopolitici e internazionali che dividono profondamente i due governi, tanto da portare bin Salman a parlare della Turchia quale Paese appartenente al “triangolo del male” e della sua leadership come “una delle più nocive al mondo”, in un’intervista rilasciata al quotidiano egiziano Al-Shorouk.
Di certo, nell’intreccio tra dissenso in seno al regime saudita e politica internazionale, rimangono solo le ultime immagini di Khashoggi, filmato dalle telecamere a circuito chiuso all’esterno del consolato, prima di andare incontro al proprio destino.
di Vanni Rosini