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Il Burundi precipita in una nuova spirale di violenza

di Salvo Ardizzone

Il Burundi sta precipitando in una nuova spirale di sanguinosa senza che la comunità internazionale faccia nulla di serio per fermarla.

Il Paese è preda di violenze dall’aprile scorso, quando il Presidente uscente Nkurunziza si è candidato per la terza volta (malgrado la Costituzione lo vietasse), venendo rieletto il 21 luglio con elezioni viziate da brogli, disordini e intimidazioni.

Da allora è stato un succedersi di omicidi politici e di violenze, che hanno visto anche un fallito colpo di stato; adesso è in corso una feroce repressione poliziesca contro gli oppositori, dopo uno sbrigativo ultimatum a cessare ogni resistenza.

Stavolta le ragioni del conflitto non sono etniche, malgrado sia latente l’odio fra le componenti Hutu e Tutsi della popolazione, risiedono piuttosto nella volontà di mantenere il potere senza concedere spazio alcuno ad altri da parte del blocco corrotto saldatosi intorno a Nkurunziza.

Ma il pericolo del conflitto etnico è comunque reale perché, dinanzi alle contestazioni per una gestione della cosa pubblica inetta quanto corrotta, l’entourage del Presidente sta giocando la carta della contrapposizione fra le due etnie per avere consensi.

Dinanzi ad una situazione che potrebbe sfuggire di mano da un momento all’altro con conseguenze catastrofiche, l’azione della diplomazia africana è inconcludente: la Comunità dell’Africa Centrale è bloccata dalle divisioni e dal timore di creare un precedente, che limiti con un intervento lo strapotere dei gruppi al potere in Stati che poco o nulla hanno di democratico, mentre l’Unione Africana si è praticamente disinteressata di questa patata bollente. Anche i grandi Paesi donatori dell’Occidente si guardano bene dall’assumere una posizione decisa, seguendo ciascuno la propria agenda di interessi immediati.

Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è stato investito del problema e la Francia preme per una risoluzione (che ovviamente mette in primo piano le sue ragioni), ma dalla sviluppo del dibattito è assai dubbio che la Cina, sempre avida di risorse e interessata a mantenere al potere il blocco con cui tratta da sempre, la lasci passare.

È l’eterna piaga africana: l’avidità di gruppi di potere corrotti che si salda a quella di Paesi neocolonialisti senza scrupolo alcuno; ai Popoli non resta che la miseria e lo sfruttamento.

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