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Khader Adnan: “Più loro mi torturano, più cresce la mia determinazione”

di Manuela Comito

Il prigioniero palestinese Khader Adnan è oggi al 46esimo giorno di sciopero della fame, in segno di protesta contro la sua ingiusta detenzione e contro le disumane condizioni in cui sono costretti a vivere i prigionieri palestinesi nella carceri israeliane. In una lettera pubblicata a maggio, ha scritto che l’obiettivo della sua lotta è di impedire a Israele di distruggere le conquiste dei prigionieri che hanno ottenuto la libertà attraverso lo sciopero della fame, solo per essere nuovamente arrestati dai militari. In questi giorni ha ricevuto la visita del suo avvocato nel centro medico israeliano Assaf Harofeh, dov’è stato trasferito per il progressivo peggioramento del suo stato di salute. Jawad Bulous, avvocato della Palestinian prisoner’s society, ha raccolto le parole di Adnan, il quale ha dichiarato che più aumentano le torture del regime israeliano, più cresce la sua determinazione alla Resistenza e al proseguimento della sua battaglia. L’avvocato ha anche potuto constatare di persona le gravi condizioni in cui versa il detenuto e ha espresso grave preoccupazione, sottolineando che, nonostante le immani sofferenze di Adnan, le autorità israeliane non hanno ancora discusso il suo caso, pur essendo consapevoli dei rischi gravissimi che il prigioniero sta correndo.

Una delegazione del Comitato della Croce Rossa Internazionale ha più volte chiesto l’autorizzazione per poter visitare il prigioniero, ma le autorità carcerarie hanno continuato a negare il premesso. Venerdì 12 giugno Rafat Hamduna, direttore della Società dei Prigionieri, aveva reso noto che il detenuto, che ormai da giorni vive con una mano e un piede legati al letto, aveva subito un tale drastico calo ponderale da rendergli impossibile qualsiasi movimento e, addirittura, da non permettergli nemmeno di stare in piedi. Adnan, 37 anni, padre di sei figli, è stato arrestato l’8 luglio 2014 e condannato in regime di detenzione amministrativa per la decima volta nella sua vita. Nel 2012, aveva già partecipato a uno sciopero della fame di 66 giorni contro il regime di detenzione amministrativa e 2mila prigionieri avevano seguito il suo esempio. Allora Israele aveva ottenuto la sospensione dello sciopero con l’impegno di ridurre il ricorso a tale pratica e di sospendere il provvedimento ai prigionieri che lo subivano. Ma ciò non è mai avvenuto. Israele ricorre quotidianamente alla procedura della detenzione amministrativa, che permette l’arresto senza incriminazione né processo di chiunque, sulla base di ‘prove segrete’; in questi casi né il detenuto né il suo avvocato o i suoi familiari sono a conoscenza del capo d’imputazione o della durata della pena. Le autorità israeliane si sentono legittimate ad un uso sconsiderato della pratica della detenzione amministrativa adducendo a motivo uno stato di perenne emergenza. Al momento, circa 500 palestinesi sono detenuti in detenzione amministrativa, su un totale di quasi seimila palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane.

Intanto suscita aspre polemiche il disegno di legge di Gilad Erdan, ministro della Sicurezza Interna del governo israeliano, che ha proposto l’alimentazione forzata per i prigionieri palestinesi che decidono di intraprendere lo sciopero della fame come forma di protesta. Le critiche, mosse sia da Leonid Eidelman, presidente dell’Associazione Medici di Israele, sia dall’Associazione israeliana per i Diritti Civili, definiscono ‘non etico’ e lesivo della libertà dell’individuo il ricorso all’alimentazione forzata. Sembra però che il governo israeliano sia poco propenso a tenerne conto e attenda solo l’approvazione della Knesset, per fermare la protesta dei detenuti che Erdan definisce una vera e propria ‘minaccia’.

 

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