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Joanne Chesimard, emblema delle nuove tensioni sociali americane

di Mauro Indelicato

Joanne Chesimard; è un nome, a prima vista, che dice poco o nulla, quasi anonimo. Ma se poi si va a spulciare l’elenco dei soggetti super ricercati dell’Fbi, il suo non è un nominativo qualunque; bensì, si tratta dell’unica donna considerata un “pericolo” per gli Stati Uniti.

“Questa donna è un pericolo per la sicurezza del nostro Paese” ha annunciato in una conferenza stampa un alto dirigente del Pentagono, conferenza peraltro molto affollata di giornalisti e di tanti appartenenti alla stampa d’oltreoceano.
Ma cosa può aver fatto questa donna per meritarsi un appellativo del genere ed una taglia che vale, incredibilmente, due milioni di Dollari?

Partiamo dalla sua biografia: Joanne Chesimard è nata 66 anni fa nel Queens, è una donna di colore, che è cresciuta in una zona molto degradata di New York, in uno di quei quartieri in cui l’emarginazione economica e sociale dei neri americani si può toccare con mano ed in cui della grande potenza che domina gli affari mondiali, rimane traccia solamente nelle stropicciate bandiere a stelle e strisce delle fatiscenti scuole della zona.

In questo contesto, la Chesimard ha, negli anni della sua giovinezza, avviato diversi contatti con le organizzazioni post–68 che lottavano per i diritti dei neri negli States; con l’omicidio di Martin Luter King e con l’esplosione della questione della povertà delle fasce più deboli, la Chesimard ha in seguito abbracciato i rami più radicali della lotta delle persone di colore, affiancandosi all’Esercito per la Liberazione dei Neri.

Il 2 maggio del 1972, negli anni in cui Washington è stata costretta a concentrarsi più all’instabilità interna che gli echi della guerra fredda ed in cui nei quartieri più popolari la polizia era presente in maniera molto massiccia, un normale posto di blocco si è trasformato nel casus belli che ancora oggi porta la Chesimard ad essere una delle persone più ricercate d’America.
Infatti, durante il controllo della Polizia, scoppia una sparatoria nel quale rimane ucciso un poliziotto di 40 anni; le autorità, hanno incolpato la Chesimard, presente all’interno dell’auto fermata e da quel momento in poi per tutti il suo volto era quello di una feroce terrorista, anche se, durante il processo, non sono emerse prove evidenti che il colpo fatale sia partito dall’arma della donna.

Dopo sette anni di prigione, nel 1979 la Chesimard diventa famosa negli Usa per una tanto spettacolare, quanto clamorosa, evasione dal carcere e da quel momento in poi nessuna autorità ha più visto il suo volto.
Ma la Chesimard, quasi a voler prendersi beffa dell’Fbi, ha scelto una strada quasi unica al mondo, cioè quella di essere una delle poche ricercate al mondo senza essere latitante; infatti vive tranquillamente ed in libertà a Cuba, in maniera indisturbata ed intraprendendo diverse iniziative umanitarie nell’isola.
Eppure, dagli anni ’80 in poi, il suo nome, pur rimanendo nella lista dei ricercati più pericolosi, è caduto quasi nel dimenticatoio; del resto, la questione dei neri negli States è rimasta sempre meno centrale, per via dei duri colpi inferti alle organizzazioni terroristiche e per via delle varie promesse sull’avvio di un processo di emancipazione, che per la verità ha prodotto negli anni scarsi risultati.

Adesso, in maniera del tutto improvvisa, l’Fbi ha annunciato il raddoppio della taglia, da uno a due milioni di Dollari, per chi avvista Joanne Chesimard avvisando la cittadinanza che, come detto prima, la donna rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale.
Come mai, viene da chiedersi, l’Fbi torna a tirare fuori dal cilindro una ricercata che da più di 40 anni era stati quasi “dimenticata” a Cuba? La risposta, forse, può essere rilevata da una nuova vistosa spaccatura nella società americana, in cui, complice anche la crisi economica, i rapporti tra cittadini bianchi e cittadini di colore potrebbero tornare ad essere nuovamente intricati.

I primi segnali di tensione, paradossalmente, iniziano sotto il primo mandato di Barack Obama, primo americano di colore della storia, il quale viene però accusato da più parti degli ambienti culturali di colore di sfruttare a fini elettorali la propria carnagione: “Obama non è un nero – tuonava nel 2010 Morgan Freeman, uno degli attori più apprezzati del cinema Usa – non sa cosa vuol dire vivere nelle baraccopoli, non conosce la miseria, viene da una famiglia bianca benestante, che si è unita con un’altra famiglia benestante africana, ma non conosce l’umiliazione di sentirsi emarginato solo per il colore della pelle”.

Probabilmente allora, il nervosismo delle autorità Usa su questa tematica, dipende dal fatto che a breve potrebbe riesplodere una nuova questione sull’emarginazione economico/sociale dei neri; la crisi, il numero crescente della popolazione di colore al dispetto della crescita zero di quella bianca, la sensazione di discriminazione che è sempre latente nelle metropoli nordamericane, sono un mix che potrebbe stravolgere il precario equilibrio sociale americano.
E si sa come, oltreoceano, la propaganda dell’America unita e del patriottismo sia quasi una necessità vitale: per un popolo con poca storia alle spalle, senza il sale della propaganda dello “zio Sam” e dell’unità fondata sulla bandiere a stelle e strisce, si potrebbe arrivare ben presto allo sgretolamento di una società sempre più divorata, di per sé, da un sistema economico in mano a pochi speculatori finanziari.

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