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Italia: una legge di stabilità piena di incognite, taglia l’essenziale e garantisce i privilegi dei potentati

di Salvo Ardizzone

La legge di stabilità, presentata da Renzi fra le solite slide e toni compiaciuti mercoledì sera, è stata già commentata largamente, spesso da chi non ha provato neppure a leggere i pochi dati scarni che sono circolati; piaccia o no, è un argomento troppo importante per il Sistema Italia e prima d’abbozzare queste riflessioni abbiamo provato a capircene qualcosa. Di certo appare ambiziosa e nelle intenzioni vorrebbe essere una manovra espansiva e anticiclica (vale a dire che intenderebbe stimolare le attività economiche per tenere a galla un sistema che sta andando a picco, provando ad invertire la tendenza) ma, come vedremo, si basa su un azzardo mal preparato e su una mancata percezione della realtà.

Senza entrare in tutti i particolari (dovremmo essere troppo tecnici e oltremodo noiosi) ne tratteremo i punti salienti; intanto la dimensione sorprendente: 36 Mld è assai più di quanto ci s’aspettasse ma, a pensar bene, è il minimo se si vuole sortire qualche effetto nella crisi senza precedenti in cui siamo impantanati.

Scendendo nei contenuti, a parte la conferma (che era tutt’altro che scontata) del famoso “bonus” da 80 euro in busta paga, s’è tagliata una tassa iniqua sul lavoro (l’Irap) e si sono incentivate di molto le assunzioni a tempo indeterminato; questo, aggiunto alle modifiche legislative portate da altri provvedimenti, da un canto fanno costare assai meno il lavoro, dall’altro spingono a superare la divisione tutta italiana fra contratti di lavoro pienamente tutelati e altri che di tutela non ne hanno proprio (vedi l’esercito di precari a vario titolo).

Accanto a queste operazioni cardine, sono previsti una serie di altri interventi, alcuni ragionevoli anche se insufficienti (ma è già un miracolo che se ne siano ricordati), come finanziamenti alla scuola per l’assunzione di precari, aiuti alle famiglie, qualcosa alla ricerca e così via; altri sacrosanti, come quello a favore delle partite Iva minori che si vedranno sgravate di costi e adempimenti.

Un insieme di misure che ha al centro l’obiettivo d’abbattere lo spropositato costo del lavoro; altre strategie invocate a gran voce da qualcuno, come destinare quei soldi ad opere pubbliche (malgrado quello che vediamo tutti i giorni con gli appalti) o mantenere in vita aziende decotte che il denaro (il poco che c’è) lo bruciano invece che produrlo, avrebbero sortito l’effetto di buttare le risorse messe in campo faticosamente in un secchio sfondato.

Tutto bene allora? No, affatto. È sul come si conta di recuperare quelle somme che vengono fuori i dubbi. Tanti. Come abbiamo detto all’inizio, quell’operazione si basa su un azzardo e su una scarsa percezione della realtà.

Una posta corposa (11 Mld) deriva da un aumento del deficit, che passerà dal 2,2% al 2,9% del Pil; il fatto è che ci eravamo impegnati con Bruxelles a quel 2,2 e nel frattempo s’è fatto poco (ammesso che si sarebbe potuto far qualcosa) per preparare la Commissione e i vari falchi e falchetti del rigore a questa nostra sortita. Certo, c’è la Francia che addirittura ha dichiarato che non rispetterà neppure il fatidico 3%, ma il nostro peso nella Ue non è quello di una Parigi sia pur assai appannata. Abbiamo cercato di giustificar la cosa mettendo in cantiere le tanto decantate riforme, ma ricordiamo che di tutte nessuna è ancora operativa, così, più che una scusante, la cosa potrebbe essere percepita come la nostra ennesima furbata (e quanto sentito sin’ora da Bruxelles non fa sperare nulla di buono). Insomma, quella previsione di 11 Mld è al momento un azzardo con tanto di punto interrogativo sulla riuscita.

L’altra posta massiccia deriva dalla spending review per 15 Mld. Non staremo qui a spiegarne le poste e i meccanismi, diciamo solo che per oltre la metà deriva da tagli lineari derivanti da una sforbiciata del 3% sulle spese di Ministeri, Regioni ed Enti Locali. È una storia antica che abbiamo toccato molte volte: in Italia di tagli selettivi non se ne può parlare, perché dietro ogni spreco c’è un centro di potere, piccolo o grande che sia, che c’ingrassa e che lo difende furiosamente. Sperare che vengano tagliati è utopia, così il Governo finisce per “affamare” le Amministrazioni, togliendo progressivamente acqua alle spese, ma così facendo prosciuga ancora le già scarse risorse per i servizi essenziali, di qui le inviperite reazioni di Governatori e Amministratori chiamati a tagliare.

Per dare un esempio del problema, basta parlare del Fondo Sanitario Nazionale (che da solo pesa per 112 Mld sullo Stato); una sforbiciata da due Mld sarebbe più che possibile, basterebbe adottare quei costi standard, tanto ferocemente avversati dalle Amministrazioni, che, uniformando gli importi delle voci di spesa, eviterebbero che uno stesso bene costi 1 se acquistato in un luogo e 3 se in un altro. Basterebbe razionalizzare alcuni servizi, eliminare reparti fatti per primari che dirigono se stessi e così via. Basterebbe. Ma campa cavallo se s’aspetta che quella selva di piccoli e grandi potentati cedano da sé privilegi e cessino le ruberie che credono ormai sacrosanti. Occorrerebbe un’opera di bonifica lunga e feroce che non è pensabile al momento.

Adesso finirà com’è sempre stato, con tagli che riguarderanno soprattutto l’essenziale già spesso sotto i limiti minimi, per cui, per non chiudere bottega (e al contempo mantenere l’andazzo), gli Amministratori metteranno nuove tasse locali che i cittadini dovranno pagare in sostituzione di quanto tagliato dal Governo. E buonanotte alla diminuzione delle tasse.

Speriamo se ne ricordino quando saranno chiamati a giudicarli col voto.

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