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Droni, l’Italia spende 20 milioni di euro per armarli

L’Italia, in perenne crisi economica stando alle dichiarazioni dei politici, sta spendendo 20 milioni di euro per armare i droni; questo accade dal 2005, anno in cui il Pentagono ha concesso l’autorizzazione al ministero della Difesa per armare i velivoli droni comprati dall’Italia da un produttore statunitense.

droni italia
MQ-9A “Predator B”

Questo è quanto è stato scoperto dall’osservatorio Mil€x grazie a dei documenti fuoriusciti dal ministero della Difesa; questa è una svolta nella storia militare italiana in quanto con i droni sarà possibile non solo fare missioni di ricognizione ma attaccare. Si parla di un investimento complessivo da 700 milioni di euro.
Sul piatto ci sono già 19,3 milioni di euro, di cui 0,5 spesi nel 2017 e 5 da spendere nel 2018. La voce, contenuta in documenti ufficiali del ministero recuperati da Mil€x, è definita stanziamento per sviluppare «capacità di ingaggio e sistema Apr Predator B». Tradotto dal gergo militare, significa che i droni italiani (Apr, aerei a pilotaggio remoto) Predator B hanno cominciato la procedura per provvedere all’armamento dei velivoli.

Sino adesso i fondi stanziati dall’Italia per i droni si aggirano intorno ai 688 milioni di euro, 211 milioni sono stati spesi all’interno del programma Nato Alliance ground surveillance (Ags), attraverso cui si sono acquistati in tutto 15 velivoli (uno costa circa 187 milioni di euro).

Altre spese per un totale di 142 milioni sono state effettuate per l’acquisto dei Reaper, definiti anche General Atomics MQ-9 Reaper (originariamente conosciuto come Predator B) è un aeromobile a pilotaggio remoto (Apr) sviluppato dalla General Atomics Aeronautical Systems (GA-ASI) per l’uso alla United States Air Force, l’United States Navy, alla Aeronautica Militare e la britannica Royal Air Force. L’MQ-9 è il primo Uav hunter-killer progettato per la sorveglianza a lunga autonomia, e a elevate altitudini; sono questi i Predator B che l’Italia sta armando.

“Il Parlamento dovrebbe urgentemente affrontare questo tema, poiché la detenzione di droni armati implicherebbe dal punto di vista tecnico e politico una flessibilità di impiego bellico infinitamente maggiore rispetto ai tradizionali cacciabombardieri pilotati, che comporterebbe una rivoluzione copernicana della postura militare italiana”, scrive Mil€x nel rapporto; in questo modo quelle che una volta si definivano missioni di ricognizione possono passare senza problemi a missioni d’attacco.

Il silenzio della stampa sui droni

Come accade di sovente in Italia, la questione dei droni è passata sotto silenzio e l’unica a dare notizia dell’utilizzo di questi velivoli è stato il quotidiano “La Repubblica”, che lo scorso settembre ha raccontato degli attacchi missilistici effettuati da droni statunitensi in Libia partiti dalla base di Sigonella. I numeri che sono disponibili al momento trattano di spese già effettuate, ma il bilancio potrebbe aver un surplus di spesa: l’ex ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha presentato al parlamento nel mese di Febbraio, la richiesta per 20 nuovi droni P2HH Piaggio Aerospace dell’azienda che ha sede ad Albenga, ma controllata al 100% dal fondo di investimento Mubadala, per un periodo sponsor della Scuderia Ferrari, con sede negli Emirati Arabi Uniti.

La Mubadala ha effettuato un’iniezione di liquidi alla Piaggio Aerospace pari a 700 milioni di euro e la commissione dell’Aeronautica si potrebbe leggere come un ulteriore aiuto per far uscire l’azienda dalla crisi degli anni passati, ma è un programma ammantato di dubbi e incertezze. La commessa ha una durata di 15 anni con un costo di 766 milioni di euro per un totale di 51 milioni di euro l’anno e per vedere in azione i primi prototipi bisognerà attendere il 2022; inoltre il progetto rischia di scontrarsi con il piano Male 2025 (Medium Altitude Long Endurance) che vede la partecipazione delle maggiori compagnie che si occupano di difesa aerea compresa l’italiana Leonardo che ha investito nel progetto 15 milioni di euro.

Il ministero della Difesa non è nuovo a strampalati investimenti, basterebbe ricordare il clamoroso caso degli F-35, eppure 10 di questi velivoli sono stati già consegnati alla modica cifra di 150 milioni di euro l’uno che saranno accompagnati da 40 milioni di euro per l’ammodernamento; praticamente sono aerei già nati vecchi. Sul caso degli F-35 si è anche espressa la Corte dei conti: “Il programma è oggi in ritardo di almeno cinque anni rispetto al requisito iniziale”.

C’è da considerare che il tutto sta avvenendo nel silenzio terrificante della politica, della stampa (salvo rare eccezioni) e dell’opinione pubblica che viene mantenuta nella totale ignoranza sulle cifre da capogiro che potrebbero essere dirottate verso problematiche di maggior rilievo.

di Sebastiano Lo Monaco

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