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Italia: finisce mestamente il fallimentare semestre europeo di presidenza della Ue

di Salvo Ardizzone

Renzi aveva presentato il semestre europeo di presidenza italiana della Ue come un passaggio epocale, che avrebbe cambiato radicalmente le politiche economiche della Ue; il 18 scorso, con l’ultimo vertice dimezzato per il taglio degli incontri in programma per il 19, è sostanzialmente finito senza che nulla sia cambiato.

Due erano i grandi temi sul tavolo: la scelta di puntare sullo sviluppo, abbandonando le asfissianti politiche di ottuso rigore che stanno distruggendo le economie europee e il confronto suicida con la Russia. Sul primo, per garantirsi l’elezione, Juncker aveva promesso agli eurosocialisti un massiccio piano d’investimenti da 300 Mld per stimolare le economie boccheggianti del Continente; così aveva incassato l’appoggio socialista facendo balenare la possibilità che si potesse cambiare quella selva di regole e meccanismi assurdi, imposti dalla Germania per la propria convenienza di breve-medio periodo, che stanno stritolando l’intera Ue, e cominciano a ritorcersi sulla stessa Berlino.

Gli annunci del nostro Premier s’erano sprecati su questo cambio di passo di cui s’era già preso il merito, ma quando il Piano Strategico è venuto fuori è stato chiaro a tutti che nulla cambiava: c’erano solo 21 Mld per tutta Europa, e neppure di soldi freschi, ma ottenuti raschiando il fondo del barile da altre misure, chiamando in causa la Banca Europea per gli Investimenti (Bei) e dando garanzie per il resto. Gli altri, per arrivare ai 315 Mld, li dovrebbero mettere fantomatici investitori esteri e gli Stati membri, visto che Juncker, ormai eletto, ha detto bruscamente che altre risorse non ne ha, punto.

Ma il meglio è che non è affatto chiaro chi selezionerà i progetti da finanziare e con quali criteri (vale a dire chi e come deciderà di finanziare una metropolitana in Grecia o un porto in Sicilia o altro nella Ue); inoltre, quei soldi che uno Stato dovrebbe mettere nel Fondo, non è affatto chiaro se debbano essere investiti per progetti sul suo territorio, o possano finire dirottati su altri. Ma non è finita: i capitali impiegati, al di là di vaghe formule di circostanza, dovrebbero rientrare nella solita camicia di forza del Patto di Stabilità (ma chi li ha disponibili, perché dovrebbe cacciarsi in quel ginepraio per investirli?); e se qualche remota possibilità che ne vengano esclusi esiste per quanto riguarda la quota capitale (l’aiuto comunitario che rende appetibile l’investimento), è chiusura totale sulla quota di cofinanziamento (i soldi da aggiungere per svolgere l’investimento che, per come è articolato il piano, sono la maggior parte).

Inutile soffermarsi sull’assurdità del meccanismo: attraverso sofisticate operazioni di finanza, con 21 Mld si pretende di metterne in campo 315, con una “leva finanziaria” da 1 a 15, comprensibile in campo speculativo, che promette un’alta remunerazione a breve, ma mostruosa per investimenti strutturali che non possono invogliare nessuno a scommetterci sopra alle inconcepibili condizioni che abbiamo delineato. E neppure su quelle c’è chiarezza, perché mentre Juncker s’arrampicava sugli specchi e spargeva cortine di fumo, rinviando a un prossimo vertice a fine gennaio per definire le regole, la Merkel, con i suoi consueti scudieri del Nord, continuava imperterrita a tuonare sulla necessità del rigore e del rispetto del Patto di Stabilità, con tanti saluti alla “flessibilità” tanto evocata.

Sull’altro tema, quello del confronto con Mosca, se n’è discusso a cena: sotto la spinta di Washington, e con l’appoggio incondizionato di Polonia e Paesi Baltici, Tusk, il neo presidente polacco della Ue, ha chiesto una strategia dura che rinforzasse le sanzioni assurde che già fanno pagare all’Europa un prezzo altissimo. È stato già tanto che, per adesso e solo per adesso, si sia contenuto il danno limitando le nuove alla Crimea, malgrado le resistenze di Italia e Francia e con la Mogherini in grande imbarazzo, costretta a farsi perdonare antiche vicinanze con Mosca. E la Germania, con il suo peso, a seguire una sua agenda, a prescindere da tutto e tutti come sempre.

Ricapitolando il bilancio di quello che è stato strombazzato come un evento di straordinario cambiamento: le ossessive politiche di rigore restano dove stanno, con Berlino a bacchettare come sempre chiunque lo metta in dubbio; il maxi piano d’investimenti che avrebbe dovuto strappare la Ue dalla recessione si rivela un nebuloso progetto da magliari; le sanzioni contro la Russia imposte da Washington, che stanno stracciando rapporti antichi e naturali contro ogni interesse dell’Europa, continuano con la prospettiva d’essere aggravate a breve.

Questo è il fallimentare risultato di ciò che è stato spacciato dal nostro Premier come una straordinaria occasione prima e un successo da rivendicare poi. A voi il giudizio.    

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