Italia crolla, ma non ci sono fondi
Che in Italia ci sia un alto rischio sismico è il segreto di pulcinella. L’ultimo evento in ordine di tempo è il terremoto che ha colpito Catania insieme ad alcuni paesini alle pendici dell’Etna, verificatosi nella notte tra il 25 ed il 26 Dicembre, di magnitudo 4.8. Il sisma ha causato diversi crolli nella località di Fleri, una frazione di Zafferana Etnea, e più di 700 sfollati.
Al di là di discutibili selfie e passeggiate tra le macerie bisognerebbe chiedere ai nostri politici perchè i fondi destinati alla prevenzione del rischio sismico rischiano di essere tagliati nella prossima legge di bilancio. In Italia c’è una forza politica che della bandiera ambientalista ha fatto una delle sue battaglie politiche, ed è quel movimento 5 stelle che siede nella maggioranza parlamentare. Eppure per denunciare il taglio delle risorse serve la dichiarazione di Angelo Bonelli quando afferma che i 36 miliardi stanziati dal 2019 al 2023 per la prevenzione del rischio sismico saranno dirottati agli investimenti strutturali.
Nella legge di bilancio approvata l’8 Dicembre alla Camera c’era il riferimento al rischio sismico, ma nella versione approvata al Senato il dettaglio scompare e la cifra destinata ad esso è di 3,7 miliardi euro dal 2019 al 2022, una cifra che riguarderà solo gli uffici pubblici. Eppure in Italia esiste una commissione in materia sismica che lavora gratuitamente e dipende dal Dipartimento della Protezione civile, l’Ingv ha anche elaborato una mappatura del rischio sismico ergo la materia si conosce bene ma il tutto si scontra con la pianificazione e con la ripartizione dei fondi disponibili.
In Italia si conosce bene la pericolosità del territorio dove secondo la classificazione sismica dei comuni italiani vi è un 40% del territorio nazionale a rischio sismico; in queste aree risiedono 22 milioni di persone, nove milioni di famiglie e si trovano sei milioni di edifici di cui un milione ad uso produttivo con cinque milioni di addetti.
Questi 22 milioni di persone abitano in area da rischio sismico molto elevato che vanno sotto la classificazione di “Area 1 e Area 2”, con tre milioni di persone che vivono nella zona 1 di massima esposizione mentre altri 19 milioni risiedono nelle zone classificate “Area 3” che non può dirsi sicura visto che il terremoto dell’Emilia del 2012 avvenne proprio all’interno dell’Area 3.
Il quadro a livello regionale appare particolarmente differenziato con regioni come la Calabria notoriamente ad alto rischio sismico dove la maggior parte della popolazione vive all’interno dell’Area 1 (circa 1,2 milioni), mentre la restante parte in Area 2 (circa 750mila). Stesso discorso per la Basilicata con 220mila persone in Area 1 o la Sicilia dove 350mila cittadini risiedono all’interno dell’Area 1 e ben 4,5milioni in Area 2, mentre nell’Area 1 risiedono 350mila abitanti.
A peggiorare la situazione vi è anche la condizione degli immobili italiani che si presenta per lo più antico e particolarmente fragile; sono abitazioni per lo più costruite prima del 1974 in assenza di qualsiasi normativa antisismica. Oltre 4 milioni di immobili sono stati edificati prima del 1920 ed altri 2,7 milioni prima del 1945, dall’altro lato vi sono le nuove abitazioni circa il 5% che è stato costruito dopo il 2001 che necessiterebbero sulla carta di minori interventi di messa in sicurezza, dall’altra parte ci sono le abitazioni costruite dopo il 2008 che almeno sulla carta non avrebbero nessuna necessità di interventi di manutenzione.
Eppure dopo il terremoto dell’Aquila del 2009 l’Italia si è dotata di un piano di prevenzione del rischio sismico (Legge 77/2009) dove si stabilisce un pluriennale organico di prevenzione che prevede interventi sugli uffici pubblici e privati, studi di microzonizzazione sismica e analisi delle condizioni limite di emergenza al fine di ridurre i danni. E’ stato istituito un fondo di 965 milioni di euro che è una cifra esigua rispetto alle reali esigenze che stando alle stime della Protezione Civile, rappresenterebbe l’1% del reale fabbisogno per il completo adeguamento di tutte le costruzioni sia pubbliche che private. Anche per quanto riguarda gli interventi strutturali e di rafforzamento è stato fatto poco: per gli edifici pubblici gli interventi sono ancora in corso, mentre per quelli privati, già finanziati, non hanno visto una presentazione del progetto.
Il raggiungimento di un discreto livello di sicurezza del territorio rispetto al reale rischio sismico è ancora molto lungo e carente in termine di progettazione e dell’innovazione tecnologica. I costi per la messa in sicurezza del patrimonio abitativo dipendono dal livello di copertura del rischio che si ritiene accettabile e si tratterebbe di intervenire su circa 12 milioni di immobili che necessiterebbero di opere di risanamento e di messa in sicurezza statica, con il coinvolgimento di 23 milioni di cittadini pari ad un costo di 93 milioni di euro.
Numeri che nell’Italia di oggi sono improponibili, dove è più facile parlare di fatalità, di evento straordinario, dove è molto più conveniente fare una passeggiata tra le macerie millantando promesse che vengono puntualmente tradite, ma che sono servite ad incrementare il consenso elettorale che è l’unico vero obiettivo dei politicanti in Italia.
Sebastiano Lo Monaco