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Israele spara sugli affamati

A Gaza, la fame non è più una conseguenza del blocco; è diventata una politica esplicita e dichiarata, orchestrata con la cruenta coscienza dei leader militari che dichiarano sfacciatamente che le file per il pane sono obiettivi legittimi. Stiamo assistendo a un momento rivelatore della mentalità coloniale di Israele nella sua forma più sfacciata: occupare non solo la terra, ma la vita stessa, trasformando ogni forma di sopravvivenza in un crimine punibile con la morte per il palestinese. In questo scenario, gli aiuti umanitari non sono un’ancora di salvezza, ma una trappola da campo, in cui le munizioni vengono distribuite più della farina, e un'”ideologia dell’omicidio” viene formulata non come una deviazione individuale, ma come una politica statale.

Proiettili al posto del pane

Quanto accaduto nella Striscia di Gaza dal lancio del piano della Gaza Humanitarian Foundation non può essere considerato un semplice errore di coordinamento o un fallimento nella gestione della distribuzione degli aiuti. È piuttosto la chiara strategia sionista sistematica che usa la fame come arma e trasforma i centri di soccorso in trappole mortali.

Non è la prima volta che l’esercito israeliano usa questa tattica, ma la novità di oggi è la sconcertante franchezza con cui i soldati israeliani hanno riferito ad Haaretz le istruzioni dei loro comandanti: sparare a chiunque si avvicini agli aiuti, anche se disarmato. Una delle frasi citate nel rapporto afferma chiaramente: “Spariamo a chi cerca aiuto come se fosse una forza d’assalto”. Qui viene svelata l’essenza della dottrina militare israeliana a Gaza: qualsiasi palestinese affamato è un pericolo e deve essere eliminato, anche se alza le mani al cielo chiedendo una pagnotta di pane.

Strategia di omicidio di massa: tra aiuti e munizioni

Secondo il Ministero della Salute di Gaza, dall’inizio dell’attuazione del piano “americano-israeliano”, il 27 maggio, circa 600 persone sono state uccise e oltre 4mila ferite nei pressi dei centri di distribuzione degli aiuti – l’equivalente di veri e propri massacri compiuti quotidianamente sotto gli occhi di tutto il mondo. Ma quando il riconoscimento arriva dall’interno stesso dell’esercito israeliano, non abbiamo bisogno di “rapporti di intelligence” o di “indagini indipendenti” per dimostrare il crimine. I colpevoli parlano dei loro crimini indossando uniformi e non temono alcun processo.

Ciò suggerisce non solo una mancanza di responsabilità, ma anche una politica sistematica. Questa stessa politica, in vigore da decenni in Cisgiordania, viene replicata oggi a Gaza con crescente intensità: trasformare ogni atto civile – come chiedere acqua o aspettare cibo – in un rischio per la sicurezza che giustifica l’uccisione.

L’istituzione umanitaria: una maschera per il controllo e il caos

La cosiddetta “Gaza Humanitarian Foundation”, che attua il piano “americano-israeliano” al di fuori della supervisione delle Nazioni Unite, è in realtà uno strumento neocoloniale accuratamente elaborato, progettato per consolidare il controllo dell’occupazione sul trasporto di cibo, marginalizzare le istituzioni internazionali e trasformare l’ operazione di soccorso in un nuovo capitolo di guerra. Non sorprende che la maggior parte dei combattimenti si svolga nelle zone cuscinetto nel sud di Gaza, dove le distribuzioni vengono effettuate sotto la protezione dell’esercito israeliano per conto di aziende americane, abbandonando le masse affamate al loro destino.

Qui, uccidere non è più una mera reazione al caos, ma piuttosto una condizione per l’attuazione del piano. In assenza di istituzioni umanitarie neutrali, folle affamate diventano bersagli mobili che possono essere eliminati in caso di qualsiasi “violazione della sicurezza”, mentre ripetute “falle” nella distribuzione degli aiuti vengono usate come pretesto per intensificare il dispiegamento militare ed espandere le aree di controllo.

Israele: quando uccidere diventa un’ideologia

Ciò che Haaretz ha rivelato non è stata solo una fuga di notizie di natura militare, ma una testimonianza strategicamente schiacciante. Un soldato ha descritto l’attacco ai civili vicino ai rifornimenti di aiuti come “l’ideologia dei comandanti sul campo”. Questa stessa affermazione smaschera appieno la mentalità che governa le azioni israeliane a Gaza. La questione non è più semplicemente l’esecuzione di ordini militari; piuttosto, è una convinzione ideologica radicata nella gerarchia di comando, che considera l’uccisione di palestinesi affamati non solo una necessità di sicurezza, ma una missione ideologica.

È la stessa ideologia che storicamente ha sostenuto la necessità di “bruciare la coscienza palestinese” e di bombardare case e infrastrutture come mezzo per soggiogare la popolazione. La differenza è che gli strumenti di annientamento odierni non si limitano più ai razzi, ma includono farina, acqua e scatolette di cibo.

Caos organizzato: una nuova arma di guerra

La Rete delle Organizzazioni Non Governative Palestinesi ha chiaramente avvertito che Israele cerca di perpetuare il caos e la violenza nella Striscia di Gaza controllando la distribuzione degli aiuti. Si tratta di un caos intenzionale che viene gestito, monitorato e sfruttato. Quando la popolazione è affamata, i camion di cibo vengono assediati e chiunque si avvicini viene colpito, la fame diventa un campo di battaglia e qualsiasi movimento per ottenere cibo si trasforma in un’avventura mortale.

Questi non sono sottoprodotti della guerra, ma la progettazione deliberata di un nuovo strumento di guerra. Invece di “cordoni di sicurezza” e “campagne combinate”, ora abbiamo “corridoi di aiuti” che vengono trasformati in campi di sterminio. Invece di un “muro di separazione”, abbiamo il “piano americano di distribuzione degli aiuti”, che crea zone cuscinetto in cui folle affamate rimangono intrappolate finché non vengono uccise o non si ritirano.

Washington è complice del crimine

Ciò che sta accadendo non può essere separato dal contesto politico più ampio. Il piano, avviato il 27 maggio, è stato una decisione congiunta americano-israeliana e attuato senza alcuna supervisione delle Nazioni Unite. In altre parole, Washington ha deciso di mettere da parte le Nazioni Unite e di concedere a Israele il controllo sulla gestione di ciò che resta della vita a Gaza.

Il risultato: la distribuzione degli aiuti si sta trasformando in un massacro quotidiano, supervisionato dalla stessa forza militare che ha assediato e bombardato Gaza per mesi. Questa alleanza tra “umanitarismo neoliberista” e armi, orchestrata dalle sale decisionali di Washington e Tel Aviv, è espressione di una nuova forma di colonialismo umanitario, in cui gli aiuti sono uno strumento per soggiogare le popolazioni, non per salvarle.

Israele e il silenzio internazionale: complicità o paralisi?

Di fronte a tutti questi fatti, emerge un vuoto lampante nelle risposte internazionali. Né le Nazioni Unite hanno bloccato il piano, né le principali organizzazioni umanitarie hanno rotto il silenzio, pur essendo consapevoli di quanto stava accadendo. Con ogni martire che cade vicino a un food truck, diventa chiaro che questo silenzio non è più semplicemente un caso di “incapacità”, ma piuttosto una complicità di fatto nell’insabbiamento dei massacri.

I crimini descritti dai soldati israeliani nel rapporto di Haaretz sarebbero sufficienti, in un mondo che si rispetti, a innescare un processo pubblico presso la Corte Penale Internazionale. Tuttavia, è probabile che rimangano, come tutti gli altri, in una lunga lista di violazioni di cui nessuno verrà ritenuto responsabile, finché la vittima sarà palestinese, il carnefice indosserà l’uniforme israeliana e il mandante sarà americano.

Israele: politica della fame e del sangue

Ciò a cui stiamo assistendo oggi a Gaza è un nuovo sviluppo nell’ingegneria dell’occupazione: la geografia della fame si trasforma in una mappa della morte e gli aiuti vengono usati come esca per dare la caccia ai civili. È un genocidio perpetrato con strumenti umanitari, copertura politica internazionale e un’ideologia militare proclamata senza ambiguità dai comandanti sul campo.

Ciò che la testimonianza dei soldati ha rivelato non sono solo dettagli orribili; è la prova del crollo del sistema morale di Israele e del fallimento della comunità internazionale nell’adempiere al proprio ruolo. Ma queste prove portano anche un messaggio alla coscienza globale : “Il vostro silenzio non è più solo complicità, ma partecipazione attiva a uno dei crimini più orribili del secolo”.

Finché gli assassini non saranno ritenuti responsabili, il palestinese affamato avrà due scelte: essere ucciso perché ha fame o morire di fame perché non vuole essere ucciso.

di Redazione

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